Coordinate temporali e incroci del destino, turbolenze affettive e viaggi alla ricerca della solidarietà umana, pregiudizi da abbattere e abbracci liberatori. Allacciate le cinture, il nuovo film di Ferzan Ozpetek è una sorta di bignami cinematografico della sua altalenante filmografia. Un concentrato di tematiche e sentimenti cari al regista turco trapiantato in Italia che però stavolta finisce per essere un ripasso sommario privo di una chiave d’accesso piuttosto che un ispirato e partecipato percorso di conoscenza. Ed eccoci ancora a Lecce (“E’ la mia città preferita con Istanbul e Roma” ha detto il regista) dove era stato ambientato il riuscito Mine vaganti nel 2010 e dove vive un gruppo di personaggi allo stesso tempo vicini e lontanissimi tra loro.
Si comincia nel 2010, sotto un diluvio e una carrellata di scarpe bagnate che farebbe la felicità del Nanni Moretti di Bianca e si finisce tredici anni dopo con una malattia con la quale dovranno fare i conti la diretta interessata (Kasia Smutniak) ma anche tutti quelli che le girano intorno. Alla base dello script (per la sceneggiatura, scritta da Ozpetek con Gianni Romoli e alla quale manca una base portante, ci sono voluti ben sette mesi) c’è, o almeno vorrebbe esserci, l’amore che si consuma tra Elena e Antonio (uno statico ed inespressivo Francesco Arca), improbabile coppia travolta dai sensi e in bilico sulla strada degli opposti che si attraggono.
Lei è una giovane cameriera in un bar diventata negli anni proprietaria di un disco pub di successo che gestisce con l’amico gay Filippo Scicchitano; lui è un muscoloso e rude dislessico che dopo averla sedotta in riva al mare si rivela col tempo un traditore senza scrupoli. In mezzo amiche raggirate (Carolina Crescentini), fidanzati di larghe vedute (Francesco Scianna), madri che vivono nel ricordo(Carla Signoris), zie trasformiste (Elena Sofia Ricci nello stesso ruolo di Mine vaganti), giovani studentesse che riappaiono come angeli custodi (Giulia Michelini), prosperose parrucchiere napoletane (Luisa Ranieri) e vicine di letto in ospedale allle quali la vita non ha regalato niente (la convincente Paola Minaccioni).
Appiattito da una recitazione che smussa a colpi di italiano l’autenticità del luogo (nel film si ascoltano tutti i dialetti d’Italia meno il pugliese…) e tentando, stavolta inutilmente, di fondere dramma e commedia, Ozpetek abbandona a metà film la coralità per concentrarsi sul ricatto emotivo di una malattia filmata con un andamento e un uso delle musiche che finiscono per allontanare più che avvicinare emotivamente. Così tra violini a go-go, lunghe passeggiate in solitario (le atmosfere vorrebbero essere quelle, dolenti e poetiche, de La finestra di fronte ma qui il risultato è un falso artificioso e stucchevole) e sogni in bianco, Allacciate le cinture è forse la pagina meno riuscita di un regista che stavolta sembra accontentarsi dell’esteriorità (si vedano le scene di sesso tra la Smutniak ed Arca) a discapito della profondità dell’insieme. Forse Ozpetek è alla ricerca di una nuova via da percorrere e della quale ancora non conosce la direzione ma rintanarsi nel passato sembra un alibi piuttosto che la soluzione e questo, alla fine, è soltanto un brutto epitaffio.
|