Un padre e una figlia che non si sono mai conosciuti, un viaggio nella riviera romagnola per vedere l’effetto che fa e il ribaltamento del tradizionale coming of age col genitore che è chiamato stavolta a diventare adulto.
Presentato all’ultima Berlinale nella sezione Generation 14plus, Paternal leave è l’esordio al lungometraggio di Alissa Jung con Luca Marinelli (compagno nella vita della neo regista) alle prese con l’arrivo improvviso a Marina Romea- dove vive in un camper in attesa di rimettere in sesto il suo bar sulla spiaggia devastato da una mareggiata- di quella 15enne tedesca dalla quale è fuggito a 21 anni.
Appena arrivata in treno dalla Germania, Leo (l’ottima Juli Grabenhenrich al suo debutto da attrice) è in fuga da una madre assente che pensa più al lavoro che ai suoi bisogni e in cerca di quel padre biologico di cui ha visto solo qualche immagine su youtube di quando insegnava surf.
Lo troverà con una nuova compagna e una sorellina, tra turbini di emozioni contrastanti e il bisogno di sapere.
Intimo e sommesso, pieno di non detti e all’insegna di un’iniziale incomunicabilità (padre e figlia parlano in inglese neutro perché lui non sa il tedesco e lei non parla italiano), il film della Jung fa del paesaggio invernale e desolato stato d’animo (viene in mente Rimini di Ulrich Seidl) e vive sugli sguardi e le intese emotive di due personaggi solo apparentemente agli antipodi.
E così, mentre quella ragazzina conosce e si confida con un coetaneo (Arturo Gabbriellini) che ha paura di dichiararsi gay per paura della reazione del padre, i piccoli spostamenti di due cuori feriti tracciano la rotta di un film che fa della filosofia del reagire il suo manifesto esistenziale.
Tra tatuaggi rivelatori e falò di ricordi, urli davanti al mare e una ruspa nella quale nascondersi, teste poggiate sulle spalle e starnuti al cioccolato, Paternal leave non cerca risposte e non spiega (Non si conosce una persona da un’intervista dice Paolo alla figlia che ha una lista lunghissima di domande inevase) preferendo la suggestione e l’impressione alla tesi.
Con quella camminata di spalle in sottofinale padre-figlia che commuove e quel nome germanico dalla forza guerriera che forse è impresso sotto pelle per la vita.
Peccato soltanto per qualche lungaggine (113’ sembrano troppi) e una metafora scoperta (i fenicotteri come super papà) aggravata poi dall’investimento di uno di quegli uccelli. Convincente la prova di Marinelli che svestiti i panni di M conferma il suo talento anche in un lavoro in sottrazione come questo.
In sala dal 15 maggio distribuito da Vision