Inquadrature geometriche, ritmo sincopato, colori pastello, dettagli ricercati, cast di stelle impiegate in piccole apparizioni e trame surreali. Alzi la mano chi dalla prima inquadratura non riconosca l’impronta autoriale di Wes Anderson che dopo i trascurabili The french dispatch e Asteroid City, torna in concorso a Cannes con La trama fenicia ambientato nel 1950 sopra ai Balcani.
Scampato a sei attentati aerei e vedovo tre volte (avrà ucciso lui le ex mogli?), il tycoon Zsa-zsa Korda (Benicio del Toro) ha deciso di nominare unica erede del suo patrimonio la figlia Liesl (Mia Threapleton). Una che non vede da sei anni e che nel frattempo sta per diventare suora.
Mentre gli altri nove figli maschi (alcuni adottati per scommessa) lanciano dal balcone della magione dardi con la balestra contro quel padre che non si cura di loro, ecco la novizia alle prese con sabotaggi e manipolazioni, soci da convincere, trasfusioni di sangue e gap economici da coprire (il padre ha in mente un mega progetto utopico di costruzioni tra terra e mare ostacolato dalla finanza internazionale) mentre compaiono sullo schermo figurine di contorno a dare il senso di un insieme che somiglia più a un libro illustrato che a un film compiuto.
Ed ecco un precettore svedese appassionato di insetti (Solo a Roma in una discarica ne ho visti di più… dice in una sequenza Michael Cera) e che forse non è quello che sembra, un direttore di night club (Mathieu Almaric) costretto a redarguire un gruppo di guerriglieri comunisti che sparano sui preziosi lampadari del suo locale e un cecchino del tiro a distanza (Tom Hanks) che si gioca i capitali in una partita a basket con Zsa-zsa Korda.
Appaiono anche Scarlett Johansson, Benedit Cumberbatch, Jeffrey Wright e Bill Murray nei panni di Dio (In bilico tra la vita e la morte il protagonista del film ha visioni in bianco e nero in cui viene giudicato nell’aldilà per ciò che ha fatto in vita) in questa nuova copia di se stesso del regista texano ormai votato all’auto celebrazione.
Girato tutto in interni agli studi Babelsberg in Germania, La trama fenicia mette in mostra la solita, impeccabile confezione tecnica (costumi di Milena Canonero, scenografie di Adam Stockhausen e colonna sonora firmata da Alexandre Desplat) che esaspera lo stile a discapito di una trama plausibile.
Si ride pochissimo (il tormentone gradisce una bomba a mano?) e ci si stupisce ancora meno nell’ennesima esibizione visiva di un cinema sempre più vuoto di contenuto e ridotto a mera forma estetica.
Dove distacco emotivo e controllo assoluto del mezzo artistico sono le parole d’ordine. I tempi de I Tenenbaum e Moonrise Kingdom sono lontanissimi.
In sala dal 29 maggio distribuito da Universal Pictures