Una scala a chiocciola come il sentiero tortuoso di una mente da analizzare. Non girava un film in Francia da più di vent’anni (Una lunga domenica di passioni di Jean-Pierre Jeunet del 2004) e per Jodie Foster (che parla perfettamente il francese come si vede nell’edizione originale) l’occasione è questo Vita privata, passato fuori concorso all’ultimo Cannes e al Roma Film Fest (in Grand Public) e nel quale interpreta una psicanalista americana trapiantata a Parigi.
Diretto da Rebecca Zlotowski (Grand Central, I figli degli altri), il film inizia come un giallo con la morte (suicidio o no?) di una paziente (Virginie Efira) che non si presenta alla terza seduta di fila con la dottoressa abituata ad ascoltarla da 9 anni. Per l’analitica Lilian Steiner, una abituata ad ascoltare più che a parlare, è l’inizio di un viaggio alla scoperta di una nuova se stessa, complice la convinzione che quella donna sia stata assassinata.
C’è un sospettato (Mathiue Almaric nei panni del marito della vittima), ci sono segreti professionali da non rivelare, qualche spirito maligno in giro e una serie di indizi (telefonate anonime, liquido rosso cosparso sul parabrezza della sua auto) che spingono la psicanalista freudiana ad andare oltre, letteralmente.
E si perché il film della regista e sceneggiatrice francese mette in scena sedute di ipnosi e allucinazioni generate dall’I.A. che producono una stramba trama artificiale che porta i personaggi persino nella Parigi occupata, con la donna che si scopre violoncellista, il figlio (Vincent Lacoste) che diventa un nazista e un direttore d’orchestra che al posto della bacchetta impugna una pistola.
Proiezioni di un subconscio che è il vero protagonista di questo strano film, un po’ giallo, un po’ commedia da rimatrimonio (come lo definisce la regista) col sempre impagabile Daniel Auteil nei panni dell’ex marito oculista che aiuta la moglie nelle indagini personali con la speranza di riconquistarla e un po’ satira borghese.
Peccato che tra un minidisk rubato e lacrime inedite (E’ la prima volta che ti vedo piangere… dice scherzando l’ex marito sorpreso di fronte alla moglie che si presenta in studio per una visita), firme falsificate e questioni di eredità, amplessi sotto il diluvio e un nipote da prendere in braccio per la prima volta (Quando sei dietro le quinte la magia svanisce, dice il figlio separato e con un neonato da far crescere alla madre allergica agli abbracci) Vita privata teorizza (troppo) e interessa poco sul versante mistery, finendo per disperdere in mille rivoli il senso di un film che si risolve nella distanza fra registrare ed ascoltare, proiezioni mentali e vita vissuta.
Il meglio è nei duetti verbali tra la Foster e Auteil (magnifico quello in ascensore), con l’attore francese che regala umorismo e leggerezza ad ogni entrata e l’americana capace di ribaltare lo stereotipo di donna forte e glaciale in un processo individuale nel quale la fragilità significa nuova condivisione. In colonna sonora si ascolta anche la Mina di Amor mio.
In sala dall’11 dicembre distribuito da Europictures