Ribellarsi al destino criminale e all’esercizio del potere attraverso la scrittura. Sedici omicidi alle spalle, famiglia calabrese trapiantata a Milano dagli anni ’50 con padre boss della ‘ndrangheta (Vinicio Marchioni sullo schermo) e una compagna (Selene Caramazza) libera ed emancipata che lo accompagnerà verso una nuova vita, Antonio Zagari (un ispiratissimo Gabriel Montesi) è il protagonista di Ammazzare stanca, il nuovo e bel film di Daniele Vicari tratto dall’omonima autobiografia del pluri assassino pubblicata per la prima volta nel 1992 e recentemente ripubblicata da Compagnia editoriale Aliberti.
Scritto dal regista di Diaz con Andrea Cedrola e presentato all’ultima Mostra del cinema di Venezia nella sezione Spotlight, il film, ambientato a metà degli anni ’70, racconta ascesa forzata e declino autoimposto di quell’uomo che nella prima sequenza uccide a sangue freddo un uomo in bici per poi correre a lavorare in fabbrica nel varesotto.
A bordo della sua 128 truccata (I milanesi fanno rapine e hanno la Porsche, noi dobbiamo nasconderci…), con un fratello in attesa del battesimo di affiliazione e costretto tra rituali ed ordini da eseguire, Antonio, che intanto ruba gioielli per la fidanzata e sposta il tiro sul mercato dell’eroina in mano ai siciliani (contro il volere paterno) passa in rassegna vite senza valore e affetti profondi.
Fino ad un rapimento finito male che lo consegna al carcere e ai libri, ovvero alla possibilità di un cambiamento definitivo che metta in primo piano la persona e non l’esecutore. Perché quell’uomo allergico al sangue, che veste alla moda e si sforza di parlare milanese (Di essere calabresi non vi dovete vergognare, parlate come due ricchioni del nord Italia… lo deride col fratello il padre al bar ritrovo) troverà nella penna l’antidoto alla pistola in un cortocircuito emotivo e culturale di grande resa cinematografica.
Merito dell’intero cast (c’è anche un inedito e minaccioso Rocco Papaleo nelle vesti di Don Peppino Pesce), di una regia movimentata che miscela sapientemente tensione e ironia e di una storia che per quanto non originale tiene desta l’attenzione dall’inizio alla fine.
Con un fantasma da ammazzare (Ero un complice, non un figlio dice Antonio al padre in una scena confessione tra le più belle del film), la voglia di essere diverso da ciò che ci si aspetta e il bisogno di spezzare una catena. Producono Marco Bellocchio e i Manetti bros.
In sala dal 4 dicembre distribuito da 01