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lunedì 20 ottobre 2025
di Claudio Fontanini
La vita va così
La guerra tra passato e futuro in un lembo di Sardegna
Un pastore sardo, ottantenne e con la quarta elementare che vive isolato nella sua piccola casa sul mare dove è nato contro il presidente di un potente gruppo immobiliare milanese (Diego Abatantuono) che proprio lì vorrebbe costruire un nuovo resort ecosostenibile a 5 stelle. 

Nel sud  incontaminato dell’isola si combatte la guerra tra passato e futuro, appartenenza alla comunità e sirene del cambiamento. Dopo Grazie ragazzi e Un mondo a parte, Riccardo Milani mette di nuovo a confronto stili di vita e trasformazioni in atto in questo La vita va così che ha aperto fuori concorso la Festa del cinema di Roma nella sezione Grand Public.  

Ambientato alla soglia del nuovo millennio e tratto da una storia realmente accaduta (quella di Ovidio Marras, scomparso nel 2024 a 93 anni) finita sulle pagine di testate internazionali, il nuovo film del regista di Come un gatto in tangenziale insiste su un cinema sociale virato in commedia che mette al centro l’identità e la memoria. 

Barricato nel suo vecchio furriadroxiu e deciso a portare al pascolo sulla spiaggia le sua vacche, Efisio Mulas (Ignazio Giuseppe Loi) arriverà a rifiutare 12 milioni di euro (dai 150 milioni iniziali) e a portare in tribunale la società che nel frattempo aveva iniziato ad edificare accanto alla sua casa e gli aveva chiuso lo stradello che conduceva direttamente al mare. 

I soldi volano, la terra resta dice alla figlia indecisa sul da farsi (Virginia Raffaele) il pastore che ogni giorno si vede arrivare sulla soglia di casa l’intero paese vicino in processione e in attesa del suo fatidico sì. Ci sono in ballo 2500 posti di lavoro e la tenuta sociale di un territorio che non può vivere solo quattro mesi all’anno. 

Con quel capo cantiere (Aldo Baglio) mandato in avanscoperta da Milano col compito di convincere Efisio a vendergli quell’ultimo lembo di terra necessario per il resort e che finirà per rimanere  ammaliato da una nuova vita da costruire nel nome della bellezza. 

E mentre una giudice sarda (Geppi Cucciari) passeggia in quei luoghi in incognito (tranne che per chi è dotato di saggezza pastorale !!!) e in avanscoperta, passano gli anni, la lira diventa euro, viene approvato un nuovo piano paesaggistico e da una vecchia panca sbucano foto d’epoca di Gigi Riva

Con citazioni di Leonard Cohen (In ogni cosa c’è una crepa e da lì filtra la luce), l’emozionante Ivano Fossati de La disciplina della terra a suggellare il bagno finale e chili di retorica in agguato. 

Perché stavolta nel film di Milani (sceneggiatura meccanica scritta a quattro mani con Michele Astori e curiosamente simile al Paradiso in vendita di e con Luca Barbareschi uscito lo scorso luglio) si ride davvero poco (mancano i personaggi di contorno e quelle evocate dal regista romano sono figurine sbiadite) e il messaggio è così scoperto da risultare alla fine persino ingombrante. Coi limiti da non oltrepassare e una nuova strada da cercare dove non contano i passi ma le impronte lasciate. 

A completare il quadro la recitazione innaturale e troppo urlata di un Aldo Baglio tenuto a briglia sciolta (ma qui non siamo in un film del trio), un Abatantuono flemmatico e a scartamento ridotto (insopportabile il suo pistolotto nel sottofinale), un make up poco credibile (possibile che dal 1999 ai giorni nostri le facce dei protagonisti non cambino mai?) tanto che il volto rugoso e autentico dell’esordiente Ignazio Giuseppe Loi, risulta alla fine la cosa più bella del film.        

In sala dal 23 ottobre distribuito da Medusa e Piper Film       


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