Una storia d’amore durata 7 anni e finita male, la scoperta improvvisa della malattia e una rinascita spirituale che rende la vita degna di essere vissuta. Tratto dall’ultimo libro di Michela Murgia (edizioni Mondadori e oltre 200.000 copie vendute) uscito nel 2023 poco prima della scomparsa della sua autrice, Tre ciotole della spagnola Isabel Coixet asciuga il libro (diviso 12 racconti) concentrando lo sguardo solo su due personaggi: Marta (Alba Rohrwacher) insegnante liceale di educazione fisica che crede nell’amore eterno e Antonio (Elio Germano), chef in rampa di lancio che la trascura da quando ha aperto il suo nuovo locale.
Si comincia con una danza di stormi sui cieli trasteverini di Roma (dove abita la coppia) e si finisce (mentre i scorrono i titoli di coda) con una barzelletta su Marx in Paradiso. In mezzo litigi di coppia in apparenza banali ma che in realtà nascondono diverse concezioni di vita, conati di vomito che assumono significati imprevisti (non è mal d’amore ma una neoplasia al quarto stadio) e la volontà di non arrendersi al male per riscoprirsi.
Storia di una sopravvivenza emotiva, Tre ciotole, girato in formato 4:3 e presentato in anteprima mondiale al Toronto Film Festival, si allontana dalla comfort zone di una vita a due abitudinaria (L’amore? Forse è un malinteso…) per portare protagonista e spettatore in un viaggio intimo e speculare (bellissima la sequenza del trasloco con lo specchio che riflette la coppia che non c’è più) che si allontana dal realismo per approdare ad una sensibilità ricercata e salutare (il cartonato di Jimko, la star coreana di K-pop col quale Marta si confida a casa come faceva il protagonista de Il mio amico Eric di Ken Loach con poster di Eric Cantona).
Cosa significa essere vivi? E’ la domanda di fondo che pervade il film della Coixet, una che di malattie sullo schermo se ne intende (ricordate il bellissimo La mia vita senza di te, quasi un controcanto di questo Tre ciotole) e che qui finisce per pagare lo scotto di sequenze romane ad effetto cartolina.
Tra passeggiate in bicicletta (con quel basta pedalare che si fa mantra di sopravvivenza esistenziale) e nuovi spasimanti (per lui c’è Galatea Bellugi, che lavora nella sua brigata, per lei il collega di filosofia Francesco Carril), dottoresse confidenti (Sarita Choudhury) e una sorella che affitta camere e rimpiange una vita mancata da attrice (Silvia D’Amico, sempre troppo poco sfruttata dal nostro cinemino), Feuerbach (L’uomo è ciò che mangia) e un gelato da assaporare come fosse l’ultimo (la sequenza più bella e dolorosa del film)), Tre ciotole affronta il dopo di noi senza particolare originalità tra ricordi in super 8, lungaggini (2h sembrano troppe) e sprazzi di umanità ferita (le studentesse seguite nei bagni da Marta e spiate mentre si tagliano le braccia) con la compostezza e il rigore di chi non vuole tradire il Murgia pensiero.
In colonna sonora Sant’allegria cantata da Mahmood e Ornella Vanoni e la bellissima Ti ricorderai di Tenco sui titoli di coda.
In sala dal 9 ottobre distribuito da Vision