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lunedì 22 settembre 2025
di Claudio Fontanini
Familar touch
Lo struggente film sull’Alzheimer dell’americana Sarah Friedland
L’Alzheimer al cinema. Quasi un genere a parte se è vero che negli ultimi anni sono proliferati i film sulla malattia degenerativa del disturbo cognitivo. E’ tutta questione di immagini e memoria, proprio ciò di cui si nutre anche l’immaginario filmico ed ecco che la rappresentazione di quel male diventa lo specchio di un mondo a parte in cui riflettere ciò che è più nascosto nel nostro io più profondo. Dopo la Julianne Moore di Still Alice, il memorabile Anthony Hopkins di The Father e il Peter Sarsgard di Memory è il turno di una straordinaria Kathleen Chalfant in Familar touch, esordio al lungometraggio della regista e coreografa americana Sarah Friedland, passato a Venezia lo scorso anno nella sezione Orizzonti dove si è aggiudicato tre premi (Leone del futuro, miglior regia e interpretazione femminile). 

Intimo, poetico e sensoriale, il bellissimo film della 33enne regista di Los Angeles- che lo ha iniziato a scrivere molti anni fa all’indomani della morte per Alzheimer della nonna e dopo aver lavorato come car giver per artisti newyorkesi- è una sorta di coming of age rovesciato che mette l’anziano e il suo corpo al centro della scena per illuminare il passaggio ad una nuova vita. 

Ed ecco Ruth, ottantenne solitaria con problemi di demenza senile (da antologia la sequenza iniziale con la donna sola in casa intenta a cercare vestiti, cucinare e prepararsi all’arrivo del figlio che scambierà per un nuovo amante da sedurre) viaggiare in auto verso la sua nuova residenza per anziani che scambia inizialmente per un hotel di lusso. 

Con la vita precedente della donna (una ex cuoca) che emerge per piccoli dettagli, sguardi che viaggiano verso altri mondi e rimandi sonori (la sequenza in piscina, col riecheggiare delle onde marine dell’infanzia di Ruth, vale il film) che aprono ricordi indelebili. 

Tra test di valutazione e passaggi in corridoi dalla luce al buio, un figlio architetto (In un mondo che distrugge tutto è importante chi costruisce ancora cose gli dice la madre) e speed dating (con la Friedland che scardina anche il tabù della sessualità nella terza età), fughe al supermercato, visori per la realtà aumentata (altra sequenza indimenticabile coi vecchietti che muovono le mani in cerca di chissà che cosa) e un ultimo, lacerante, ballo col figlio in quel country club geriatrico (il film è stato girato all’interno di Villa Gardens, una vera comunità di pensionati con assistenza permanente in California che hanno partecipato ad un seminario prima delle riprese e poi collaborato attivamente alla sua realizzazione), Familiar touch racconta la tragedia del declino dal punto di vista soggettivo del paziente senza un filo di retorica o, peggio, di pietismo d’accatto. 

Merito del rigore e della tenuta di una regia sensibile e originale e, soprattutto, della magistrale prova d’attrice dell’ottantenne Kafhleen Chalfalt, una sorta di Michael Caine al femminile capace di viaggiare col corpo e con lo sguardo in direzione ostinata e contraria. Da non perdere.  

In sala dal 25 settembre distribuito da Fandango       


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