Dopo Vizio di forma (da Inherant), Paul Thomas Anderson si affida nuovamente a Thomas Pynchon- uno dei massimi esponenti della letteratura postmoderna - per questo attesissimo Una battaglia dopo l’altra ispirato da Vineland, il quarto romanzo dello scrittore statunitense pubblicato nel 1990.
Politica e sesso, azione sfrenata e nostalgia canaglia per un mondo che non c’è più, rivoluzione e razzismo. C’è tutto (forse troppo) nel nuovo film del Petroliere e de Il filo nascosto, un inno alla liberazione di confini, corpi e scelte che in 2h40’ non sempre riesce a trovare il tono giusto finendo per spiazzare chi guarda.
Si comincia con 40’ di esplosioni, piani d’attacco al Sistema e liberazione di prigionieri per mettere in scena i protagonisti di French 75, un gruppo rivoluzionario di sinistra capeggiato dalla violenta e sensuale afroamericana Perfidia Beverly Hills (fantastica Tejana Taylor che mitraglia incinta e nel nulla sulla scia di Gomorra) che fa coppia con Bob (Leonardo Di Caprio), un novello e pirotecnico Lebowski che gira in vestaglia e si ritrova 16 anni dopo smarrito e confuso.
Il tempo è passato, la donna che aveva a fianco è fuggita (e forse ha tradito i vecchi ideali) e a quel bombarolo pentito e in paranoia non rimangono che la droga, l’alcool, i vecchi film politici (sul divano vede La battaglia di Algeri di Pontecorvo) e Willa (Chase Infiniti) la figlia adolescente da proteggere.
Sarà proprio il rapporto padre-figlia a fare da filo conduttore alla seconda parte del film, con un vecchio nemico che non si dà per vinto (un sensazionale Sean Penn nei panni di un Colonnello che dà la caccia a Perfidia Beverly Hills dopo esserne stato sedotto e violentato alla rovescia e che prenota sin d’ora la statuetta ai prossimi Oscar) e una nuova vita sotto falso nome da proteggere.
Mentre Anderson fotografa la nuova America dei suprematisti bianchi (il club dei Pionieri del Natale al quale aspira di entrare il Colonnello di Sean Penn che però forse ha avuto in passato una relazione sessuale con una donna nera…) e un maestro di tatami che nasconde immigrati messicani (La libertà? E’ non avere paura dice Benicio Del Toro) e torna in azione in aiuto della rivoluzione.
Tra punti d’incontri da raggiungere e codici dimenticati (grottesco e comico Di Caprio, al telefono dalla cabina con i capi del vecchio gruppo che gli chiedono la parola d’ordine che lui, dopo 16 anni, non ricorda), vecchi localizzatori e il respiro del mare per ricaricarsi, test del Dna (e se Bob non fosse il padre di Willa?), sequestri, suore che coltivano marijuana e una colonna sonora martellante e onnipresente (musiche di Jonny Greenwood), Anderson diverte ed emoziona (il fantastico inseguimento tra le auto sulle colline ondulate dell’autostrada di Borrego Springs che omaggia il Duel di Steven Spielberg), si dilunga e adatta in chiave contemporanea le pagine di Pynchon ambientate nella California dell’84 con vista sui ’60 per lo spirito di ribellione dei protagonisti.
Qui tutto sembra più strumentale e meno originale, e il monito di Anderson sulle derive autoritarie del nostro tempo non aggiunge nulla di nuovo. In definitiva un action movie costato 140 milioni di dollari (il budget più alto di sempre nella filmografia del regista) in bilico tra Tarantino e il Sicario di Villeneuve ma che sembra lontano dai capolavori del 55enne regista di Los Angeles giunto al decimo lungometraggio.
Finale incerto tra sospensione dell’incredulità (occhio a Sean Penn), un pizzico di retorica (la lettera della madre alla figlia) e un ponte tra passato e presente più auspicato che reale.
In sala dal 25 settembre distribuito da Warner Bros.Pictures