Dopo A classic horror story (diretto con Roberto De Feo nel 2020) e il magnifico Piove (2022) c’era molta attesa per l’opera terza di Paolo Strippoli ovvero uno dei più talentuosi, e rari, autori di horror italiani.
Scritto dal regista pugliese con Jacopo Del Giudice e Milo Tissone (dal soggetto L’Angelo infelice vincitore del premio Solinas nel 2019) La valle dei sorrisi parte benissimo tra un inquietante tentativo di suicidio di una madre dopo aver allattato il suo bambino e lo spaesamento del suo protagonista.
Un insegnante di liceo ed ex campione di judo (Michele Riondino), chiamato a fare tre mesi di supplenza in educazione fisica nel liceo di Remis (nome di fantasia, gli esterni sono stati girati a Sappada nell Dolomiti friulane), un paesino isolato tra le montagne e nel quale tutti sembrano inspiegabilmente sereni e felici.
Tormentato da un passato misterioso e su input della giovane proprietaria della locanda che frequenta (Romana Maggiora Vergano) eccolo una notte di fronte alla spiegazione, non razionale, del mistero del benessere collettivo.
E’ un adolescente (l’inquietante Giulio Feltri, per la prima volta sullo schermo) che frequenta la sua scuola ed è capace di assorbire tutto il dolore degli altri una volta abbracciato. L’angelo di Remis, così viene visto, riceve le visite una volta a settimana, col padre (Paolo Pierobon) che organizza gli appuntamenti con l’avallo del prete locale (Roberto Citran).
Inizia da qui un viaggio nel passato alla scoperta di traumi personali e collettivi (c’è un incidente ferroviario che nel 2009 causò 46 morti) e nel quale nulla è come sembra a prima vista. Con quell’insegnante scontroso e scorbutico che all’inizio ha gli occhi di un morto e che a poco a poco prende coscienza di cosa si cela dietro l’apparenza.
Mentre Strippoli gioca le sue carte ad arte tra pensieri che non fanno più male e autosuggestione collettiva, fanatismo e rituali occulti, personaggi strambi che mettono in guardia (Quegli abbracci annientano Dio che invece si trova nel dolore… ammonisce Sergio Romano) e un pappagallo che parla a distanza di anni.
Con Almeno tu nell’universo di Mia Martini in colonna sonora (bella scena) e citazioni di Carrie e Il villaggio dei dannati di Carpenter. Peccato che il nuovo film di Strippoli- presentato fuori concorso alla Mostra del cinema di Venezia- disperda per strada il patrimonio di tensione accumulato nella prima parte, la migliore. Quella della descrizione dell’habitat paesano e di personaggi in bilico tra la vita e la morte, il bisogno di dimenticare e i sensi di colpa di un passato che non smette di bussare alla porta.
Poi arrivano lungaggini (2h sono davvero troppe) e ripetizioni, spiegoni e un triplice finale poco convincente che soffocano ambizioni ed esito di questo coming of age d’autore. Occasione mancata stavolta, come se il salto di qualità produttivo avesse tarpato le ali alla fantasia del suo autore.
In sala dal 17 settembre distribuito da Vision