Mona (la sensazionale (Laure Calamy) è una madre single che va sempre di corsa. Estetista con madre in fin di vita ricoverata in ospedale e un figlio trentenne con disabilità cognitiva (è nato ipotonico) che lavora in un centro specializzato, cerca di vivere ogni tanto strappando attimi per se stessa a quella co-dipendenza assoluta che gli ha segnato la vita.
La frustrazione e il dolore accumulato negli anni esplodono quando viene a sapere che Joel (Charles Peccia-Galletto, un giovane attore disabile) ha messo incinta Oceane (Julie Froger, anch’essa disabile) una ragazza come lui. Presentato a Venezia 81 nella sezione Orizzonti ed esordio al lungometraggio di Annie-Sophie Bailly, Tutto l’amore che serve (Mon inséparable in originale) evita le strette della retorica e del moralismo d’accatto per concentrare lo sguardo su un rapporto madre-figlio che scavalca le secche del pietismo facile da opere ricattatorie sulla malattia.
Tanto che quella donna sotto pressione e con una femminilità repressa urlerà lo volevo normale, è questa la parola proibita, al suo amante belga in mezzo alla strada e con cui ha fatto l’amore in una stanza d’hotel subito dopo aver fatto la denuncia di scomparsa del figlio.
Perché quell’uomo non capisce il comportamento di una donna che da anni organizza, prevede e anticipa ogni mossa e che ha finito per ingabbiare entrambi proprio come quei due pappagallini che garriscono in casa.
Chi ha diritti su chi e cosa viene trasmesso, non solo geneticamente? Affronta tematiche dolorose e sottaciute questa convincente opera prima (la regista sa di cosa parla provenendo da una famiglia di caregiver donne) che mette in scena la pratica della cura (dell’altro e di se stessi) tra le maglie delle complesse psicologie dei personaggi rappresentati.
Aperto da una bellissima sequenza in piscina con madre e figlio sott’acqua e in apnea dalle loro esistenze dolorose (Ci tiriamo in basso... le dirà in seguito il figlio in una dolorosa presa di coscienza), Tutto l’amore che serve, tra risentimenti e sensi di colpa, violenti litigi e inaspettate confessioni (Mi sono accorta che era malata perché guardava il muro e non me confessa la madre di Oceane a Mona in un emozionante riconoscimento emotivo mentre attendono il parto in ospedale con apprensione) regala autentica commozione e speranza in questa duplice emancipazione che rimane negli occhi e nel cuore.
Con l’ennesima prova magistrale della Calamy, attrice capace di emozionare solo con la sua camminata nervosa e di spaziare tra stati d’animo contrastanti (magari all’interno della stessa scena) attraverso le mille sfumature del suo volto plastico. Da non perdere.
In sala dal 19 giugno distribuito da I Wonder Pictures