Un Ras etiope prigioniero nell’Italia del 1936 scambiato per Sandokan, la provincia esaltata dalla campagna d’Africa che diventa la giungla della Malesia, un sogno collettivo malato che si apre alla diversità e alla comprensione dell’altro.
Coming of age e romanzo popolare in bilico tra immaginazione e realtà, Ho visto un re (ma Jannacci non c’entra nulla) di Giorgia Farina è un delizioso ritratto ad altezza bambino del clima dell’epoca che si riverbera sul presente.
Ispirato a fatti realmente accaduti a Torre del Greco a Guido Longobardi divenuto successivamente un grande giornalista, il film inizia con la cattura di Abraham (Gabriel Gougsa), un ribelle abissino mandato al confino, non da prigioniero di guerra, nel piccolo paesino di Roccasecca.
Per Emilio (Marco Fiore), il figlio di 10 anni del locale podestà (un irresistibile Edoardo Pesce) è l’occasione di trasfigurare nella realtà le pagine del suo adorato Salgari. Tigrotto della Malesia più che balilla come vorrebbe il padre autoritario e ottuso, il ragazzino inizia un’amicizia col prigioniero a cui porta il cibo di notte, nella voliera del giardino della villa trasformata in una prigione.
Intorno a loro ecco Regina (Sara Serraiocco), la moglie del Podestà che si rifugia nell’arte per non vedere la bruttezza del mondo che la circonda e il Federale lascivo (Gaetano Bruno) che vuole rivelazioni da Abraham; lo zio di Emilio (un magnifico Lino Musella), un illuminato progressista che fa ascoltare il jazz al nipote e lo mette in guardia sul fascismo imperante (A nessuno importa la verità, qui basta solo mascherarsi bene), un’aspirante maestra (Blu Yoshimi) che ha perso il marito in Etiopia e toccherà con mano il ruolo della donna nella società fascista e un brigadiere dei carabinieri (Giulio Forges Davanzati) che dietro la divisa nasconde umanità e tolleranza.
Con quel selvaggio esotico guardato inizialmente con sospetto e rancore da tutti ma poi capace di indicare la via della trasformazione interiore a quasi tutti. Delicato e intimo, brillante e grottesco, Ho visto un re- scritto dalla Farina con Franco Bernini e Valter Lupo- si muove tra sogni ad occhi aperti e brindisi al desiderio, rifugi segreti e prove di sparo (La mano di un fascista non trema dice il podestà al figlio a cui mette in mano la pistola), tramezzini alla D’Annunzio e liquori comunisti (la vodka nascosta nella bottiglia di grappa) rendendo vivido il tentativo incompiuto di Bisio con la sua prima regia (L’ultima volta che siamo stati bambini)
E quel bel finale sulla rotta della fantasia riscalda il cuore e fa sperare in un futuro migliore. Presentato all’ultimo Torino Film Festival.
In sala dal 30 aprile distribuito da Medusa