Una relazione scandalosa, un’attrice in cerca del suo personaggio e un processo di esplorazione che finirà per avvicinare due donne solo apparentemente agli antipodi. Presentato in concorso all’ultimo Festival di Cannes e candidato all’Oscar per la miglior sceneggiatura originale (Samy Burch), May December segna il ritorno ai temi cari al cinema di Todd Haynes.
Le costrizioni sociali, il culto dell’apparenza da smascherare, i ruoli imposti e la voglia di essere altro di Lontano dal Paradiso e Carol riverberano anche in questo nuovo puzzle sentimentale che associa atmosfere da thriller (le musiche di Michel Legrand, nell’adattamento di Marcelo Zavros, tratte da Messaggero d’amore di Joseph Losey) e metacinema.
Chiamata ad interpretare in un film indipendente una donna sposata con un uomo molto più giovane di lei (vent’anni prima la loro relazione clandestina, lei 36 anni, lui appena 13, aveva fatto scandalo infiammando la stampa scandalistica), una famosa attrice televisiva (Natalie Portman, magnifica) raggiunge la coppia a Savannah (Georgia) per studiare da vicino psicologia e comportamenti del modello da mettere in scena.
Con quegli insetti nascosti sotto le piante ad aprire il film e a farsi manifesto di questa indagine che va oltre la superficie per scandagliare l’anima inquieta di personaggi in bilico e divisi tra passato e presente.
Ed ecco quella famiglia american inconsueta (la matriarca al centro della scena, Julianne Moore, il suo giovane sposo coreano-americano, Charles Melton, e i loro due figli che stanno per diplomarsi) radiografata attraverso la lente di Elizabeth, armata di penna e taccuino e interessata, non solo professionalmente, a quella storia che ha fatto le sue vittime.
Tra interviste a parenti e inattese scoperte, torte ordinate dalla comunità solo per gentilezza (la moglie sfoga la rabbia repressa sui dolci preparati con cura) e un amplesso mimato nel magazzino del negozio degli animali dove avvenne la relazione sessuale tra i due amanti, May December è un film sull’arte della recitazione (Sento che mi sto avvicinando alla relatà…dice la Portman al regista nel bellissimo il finale con quei ciak ripetuti che dimostrano l’avvenuta trasformazione dell’attrice) e sul senso dell’identità, col tema del doppio a fare capolino nella storia di queste due donne così diverse eppure così uguali (la sequenza delle due protagoniste davanti allo specchio coi trucchi in mano vale il film).
Con Haynes che dissemina indizi (i traumi infantili, la vecchia lettera) e ribalta prospettive (Le persone insicure sono molto pericolose e io non lo sono…dice Julianne Moore alla Portman nel sottofinale) tra ambiguità morali e pregiudizi in un film dall’andamento un po’ monocorde e dall’esito apparentemente scontato. Ma capace di rivelare in realtà come in fondo la seduzione sia tutta una questione di potere. Nell’arte come nella vita.
In sala dal 21 marzo distribuito da Lucky Red