Film di apertura della Quinzaine des cinéastes all’ultimo Festival di Cannes, Enzo è l’ultima opera di Laurent Cantet che, scomparso prima di portare a termine il lavoro, ha lasciato il testimone al sodale collaboratore Robin Campillo (col regista de La classe ha firmato lo script di sei film).
Si parla di disagio adolescenziale e ricerca di identità in questo strano ibrido social-familiare che vede, tra gli altri, i fratelli Dardenne e Jacques Audiard nel reparto produttivo.
Il protagonista del film (Eloy Pohu) ha 16 anni e lavora come apprendista muratore in un cantiere tra lo sconcerto di mamma ingegnere (Elodie Bouchez) e papà professore di matematica (Pierfrancesco Favino che recita in francese nella v.o.), che vivono nel lusso della loro splendida villa con vista mare a La Ciotat (cittadina dell’arrondissement di Marsiglia) e non capiscono quel figlio taciturno e che sembra odiarli (Io non sono come voi…).
Calli sulle mani e muri da abbattere, sognare in grande o in piccolo e indolenza da assaporare (Non fare niente è bello), uniformità e pazzia, feste in piscina e tuffi nel vuoto, con quel ragazzo che intanto disegna e rappa e trova in un operaio ucraino rifugiato la sua nuova stella polare.
Fisico e stratificato, Enzo mette in scena lo scontro tra borghesia e proletariato senza il calore e l’acutezza di un Guediguian, tanto per citare uno che di panorami marsigliesi se ne intende. E così questo racconto di formazione, in bilico tra conformismo familiare e richiamo della libertà, rimane inerte, come il suo protagonista.
Con una tensione amorosa che vive sottotraccia e le digressioni sulla guerra incapaci di alimentare una narrazione che, per tono di recitazione e stile visivo, risulta alla fine monocorde.
Sui titoli di coda, dopo il finale ambientato in Italia sulle rovine di Ercolano, si pensa a cosa avrebbe potuto essere il film nelle mani di Cantet.
In sala dal 28 agosto distribuito da Lucky Red