Una commedia sentimentale per il grande ritorno di Shirley MacLaine (classe 1934) a confronto con la giovane Amanda Seyfried – entrambe produttrici esecutive – dirette da Mark Pellington. Una sorta di monumento filmico per l’indimenticabile interprete di film di Hitchcock (la fece esordire in “La congiura degli innocenti”) e Wilder (“L’appartamento” e “Irma la dolce”), Ashby (“Oltre il giardino”) e De Sica (“7 volte donna”), Siegel (“Gli avvoltoi hanno fame” con Clint Eastwood), Nichols (“Cartoline dall’inferno”) e Schlesinger (“Madame Sousatzka”) e ormai lontana dallo schermo da oltre vent’anni (da protagonista perché di ruoli minori, fra cinema e tivù, ne ha sempre fatti), ma sempre impagabile. Una commedia a tratti malinconica a tratti divertente, in cui Shirley offre un’interpretazione comunque da Oscar.
Harriet Lauler (MacLaine) è una milionaria dispotica e irresistibile, abituata ad avere sempre il controllo di tutto, persone incluse. Un giorno Harriet decide di voler controllare anche quello che si dirà di lei dopo la sua morte: perfino il suo necrologio deve essere di suo gradimento. Così, incarica Anne (Seyfried), una giovane giornalista ‘specializzata’, con ambizioni letterarie – lavora per il giornale che lei ha sostenuto per anni -, di scrivere la sua storia, con conseguenze esilaranti e imprevedibili. Infatti, all’inizio non troverà nemmeno una persona, neanche della sua famiglia, che sprechi una parola di elogio per lei. Ma tra le due donne nascerà un’amicizia sincera, buffa e conflittuale, che le cambierà entrambe, anzi le aiuterà a scoprire se stesse.
Scritto dall’esordiente Stuart Ross Fink, il film è su misura della grande attrice ottantenne (Oscar, sempre in ritardo, per “Voglia di tenerezza”) e parte da uno spunto originale – il necrologio di una persona ancora in vita – per poi passare al tradizionale confronto generazionale, non privo di situazioni convenzionali, ma da cui scaturiscono temi come solitudine, coraggio, volontà, maternità e amicizia, magari non approfonditi a dovere. E, come il vecchio proverbio insegna, “sbagliando s’impara”, l’anziana Harriet dice alla giovane amica che “dagli errori s’impara a vivere perché si diventa furbi”. Comunque, le sole scene iniziali – in cui l’anziana protagonista si ritrova sola nella grande casa, tanto da fingere un incidente da suicidio – valgono l’intero film perché la MacLaine senza bisogno delle parole esprime tutta una vita e il suo quotidiano disagio attraverso i suoi sguardi e i gesti della sua faccia.
Un’intera esistenza a farsi detestare per poter imporsi in una società in cui voler far carriera (fondatrice e capo di un’agenzia pubblicitaria) per una donna significava restare sola per sempre, o quasi. E la rivedremo prossimamente in “Men of Granite” e “La sirenetta”. Nel cast la piccola Anne-Jewell Lee Dixon (Brenda), Anne Heche (Elizabeth, la figlia), Thomas Sadoski (Robin Sands), di “John Wick” 1 e 2; Joel Murray (Joe Mueller), Tom Everett Scott (Ronald Odom), Steven Culp (Sam Serman, padre di Anne) e Philip Baker Hall (Edward, l’ex marito). Nelle sale italiane dal 4 maggio distribuito da Teodora Film |