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domenica 21 aprile 2024
di Claudio Fontanini
CHALLENGERS
Un ménage a trois sportivo su potere e controllo dell’altro
Un campo da tennis come metafora della vita, un ménage a trois dove in gioco sono potere e controllo sull’altro; una finale che si blocca e tra una pallina e l’altra rievoca un passato lungo 13 anni. Challengers di Luca Guadagnino mette in scena la passione e la manipolazione mentale
Un campo da tennis come metafora della vita, un ménage a trois dove in gioco sono potere e controllo sull’altro; una finale che si blocca e tra una pallina e l’altra rievoca un passato lungo 13 anni. Challengers- il nuovo film di Luca Guadagnino che doveva aprire fuori concorso l’ultima Mostra del cinema di Venezia e poi cancellato dal programma per lo sciopero degli attori americani- mette in scena la passione e la manipolazione mentale in uno specchio deformato che trasforma lo sport in manifestazione esistenziale

Si comincia, tra gocce di sudore che cadono in campo e le palline che viaggiano a tutta velocità come proietti sparati in faccia allo spettatore, nell’agosto del 2019. Su un anonimo campo di cemento di New Rochelle (New York) si sfidano per la partita conclusiva di un torneo Challenger, l’elegante Art Donaldson (Mike Faist), uno che si allena in vista dei prossimi Us Open (l’unico slam che non ha mai vinto) e il talentuoso e squattrinato Patrick Zweig (il Josh O’Connor de La chimera) che dorme in macchina prima di entrare al circolo. 

Cos’ha portato ad odiarsi e a non sentirsi più negli anni questi due inseparabili tennisti che si conoscono dai tempi del campus universitario (li chiamavano fuoco e ghiaccio) e una volta condividevano tutto? Al centro del campo c’è lei, Tashi Duncan (Zendaya, anche produttrice), ex enfant prodige del tennis femminile costretta al ritiro precoce dopo un infortunio e negli anni diventata prima amante dei due e poi sposa e allenatrice di Donaldson

Nel gioco a tre è lei che ha sempre comandato e dettato le regole (Non sono una sfascia famiglie…) lasciando intendere come il tennis fosse una relazione e che chi pensa di aver vinto prima che la partita sia finita ha perso la sua occasione. Uno sport dove si tratta di vincere i punti che contano e dove non c’è spazio per l’improvvisazione. 

Con quella minuta e aggressiva tennista che rifiuta la sconfitta col destino e riversa sul futuro marito le sue ambizioni solo apparentemente depotenziate. Mentre Guadagnino che va avanti e indietro nel tempo (lode al magnifico montaggio survoltato di Marco Costa) sembra interessato ai corpi più che ai game e ai set che si succedono (del decisivo tie break finale non vedremo nemmeno la conclusione). 

Ed ecco l’onnipresente musica techno ed elettronica di Trent Reznor e Atticus Ross a pompare e dare sostanza a questa sorta di Jules e Jim sportivo  scritto da Justin Kuritzkes e primo soggetto originale filmato da Guadagnino dal 2009 (Io sono l’amore). 

Con l’estetica a prevalere su tutto, tra insistiti cambi campo a torso nudo e saune rivelatrici, e un pensiero stupendo (Patty Pravo in sottofondo) a guidare questi rimbalzi tra passato e presente che affascinano visivamente ma non convincono per struttura narrativa. 

Perché Guadagnino non è l’Oliver Stone di Ogni maledetta domenica e nemmeno il cantore romantico di Bull Durham e così il film (2h10’), condito da dialoghi poco incisivi, ondeggia pericolosamente tra baci a tre e sputi in faccia, numeri di telefono in premio a chi vince e abbracci sotto tempeste di vento fino ad un finale…in codice che rimette in gioco i sentimenti. 

Ma l’immaginaria partita di tennis del finale di Blow up giocata da due mimi rimane ineguagliabile. Per senso ed estetica.       

 




In sala dal 24 aprile distribuito da Warner. Bros      


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