Medium e segnali dal passato, apparizioni di spiriti ed ectoplasmi. Chi pensasse di trovarsi di fronte all’ennesimo film di paura a stelle e strisce si sbaglia di grosso. Altro che case infestate da fantasmi e brividi forzati, questo “Personal shopper” di Olivier Assayas- meritatissima miglior regia a Cannes 2016 ex aequo con Cristian Mungiu per “Bacalaureat”- gioca coi generi
|
Medium e segnali dal passato, apparizioni di spiriti ed ectoplasmi. Chi pensasse di trovarsi di fronte all’ennesimo film di paura a stelle e strisce si sbaglia di grosso. Altro che case infestate da fantasmi e brividi forzati, questo Personal shopper di Olivier Assayas- meritatissima miglior regia a Cannes 2016 ex aequo con Cristian Mungiu per “Bacalaureat”- gioca coi generi trasformandoli come colori su una tavolozza di un pittore impressionista. Con una protagonista assoluta e in crisi d’identità (una magnifica Kristen Stewart) che vive sospesa e in quasi totale isolamento in attesa di trovare una nuova lingua per parlare col fratello gemello morto da tre mesi per arresto cardiaco (e per la stessa malformazione al ventricolo sinistro di cui soffre la donna).
Americana androgina e solitaria che vive a Parigi e lavora come personal shopper di una star esigente e sempre in viaggio, Maureen è stanca del suo impiego e alla ricerca di un’altra se stessa della quale forse ha paura. C’è un fidanzato che la reclama da lontano (lavora come tecnico informatico in Oman), c’è una serie di ambigui messaggi inviati sul suo cellulare da un mittente sconosciuto che dimostra di conoscerla alla perfezione e c’è una casa da mettere in vendita (quella nella quale aveva abitato il fratello) e nella quale trovare risposte visto che l’efficiente factotum è anche una medium.
Tra croci sul muro e rubinetti che fanno scorrere acqua senza essere stati aperti, ebanisteria ed arte astratta (alzi la mano chi conosceva le potenti, audaci ed enigmatiche composizioni di Hilma af Klint, una che ruppe con la pittura figurativa e che un secolo fa dipinse per il futuro), boutique grandi firme, tecnologia che trasforma e un Victor Hugo inedito (tra il 1853 e il 1855 comunicò tutti i giorni, attraverso sedute spiritiche, con le più grandi menti del passato: da Dante a Galilei, da Shakespeare a Platone), il film di Assayas, intimo ed ambizioso, ammalia ed ipnotizza con la forza del grande cinema d’autore che stavolta, in questa inedita ghost story, non soffre di inutili intellettualismi e sovraccarichi ideologici.
Così la storia, apparentemente semplice e persino improbabile qua e là, sviluppa la costruzione di una nuova identità attraverso desideri nascosti e proibizioni da infrangere in un gioco di specchi che riflette il nostro vissuto. Perché la risposta, come sempre, è racchiusa dentro di noi e quel finale aperto al futuro dimostra che una nuova esistenza è possibile. Alla seconda prova con Assayas due anni dopo Sils Maria, Kristen Stewart dimostra ancora una volta di aver trovato il suo pigmalione artistico. Smarrita e seducente (da brivido la sua (ri)nascita femminile mentre prova in solitario l’abito scintillante della sua datrice di lavoro e finisce per masturbarsi sul suo letto), inquieta e con lo sguardo assente, l’attrice americana- che nello stesso anno ha girato anche Cafe Society di Allen in un ruolo agli antipodi e con esiti altrettanto incoraggianti- dimostra che i tempi di Twilight sono lontani e che in futuro altre importanti sfide artistiche saranno vinte.
Nelle sale dal 13 aprile distribuito da Academy Two
|