De Gregori non si è sottratto dall’affrontare argomenti d’attualità, visto il delicato momento che il paese sta attraversando.
«Sono tempi drammatici, difficili, che richiedono da parte di chi fa politica analisi meno stereotipate, più contemporanee. Per capire ed indicare soluzioni nuove». Invitato a fare un raffronto con i tempi raccontati in Titanic, De Gregori ha sottolineato come oggi non sia più possibile distinguere in prima, seconda e terza classe: «Nel ‘900 i sofferenti erano i proletari. Oggi le classi si sono moltiplicate. Sono molte le categorie deboli che soffrono. Soffrono dal punto di vista economico, certo, ma anche dal punto di vista morale, culturale. C’è smarrimento, insicurezza, mancanza di autostima e soprattutto di visione del futuro».
Il cantautore ha poi anche parlato del difficile momento della discografia e del valore culturale della cosiddetta musica leggera: «la discografia è in grande crisi non per colpa di chi fa musica, ma di chi ne ha avuto in mano le chiavi, che non ha saputo cavalcare il cambiamento, le novità della rete. Di ciò è bene che se ne rendano conto tutti, in modo che quando si avrà modo di proteggere questa categoria, si proceda valutando la musica al pari di altre arti, come il cinema ed il teatro. Non è certo il momento di chiedere soldi allo stato per la musica, ma pensare che ci siano figli e figliastri mi dà fastidio».
E sull’ipotesi di ritiro, come le autoesclusioni eccellenti già dichiarate da Fossati e Guccini? «Da artisti onesti quali sono, ritenendo di non avere più stimoli, loro hanno deciso così. Io se non avessi più niente da dire automaticamente smetterei. Ma per ora la cosa non mi è mai passata per la mente». Che altro dire? Beati noi.
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