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mercoledì 5 dicembre 2012
di Alessandra Miccinesi
Ken Loach, rabbia di classe
“Mi è spiaciuto che qualcuno abbia voluto rivolgerci insulti per ciò che stavamo facendo. E’ stato triste sentirmi dare del ‘megalomane’: non lo sono e neanche chi me lo ha detto lo è”. La classe non è acqua, e Ken Loach lo dimostra, alla faccia di tanti (e oggi sono tantissimi) che con questa parola si sciacquano indebitamente la bocca

Il regista inglese, oggi a Roma per presentare il suo nuovo film La parte degli angeli (nelle sale il 13 dicembre con BIM) prima di cominciare la conferenza stampa ha voluto ribadire i motivi che lo hanno spinto a declinare il premio del Torino Film Festival. Ecco, di seguito, la versione di Loach: “Io ci sarei andato al Festival a presentare il film ma hanno ritirato l’invito. Che peccato” dice il regista inglese, correggendo subito il tiro, perché il vero peccato (quello sì che è drammatica urgenza) in verità “sono le persone che perdono il posto di lavoro in momenti di disoccupazione, o percepiscono salari da fame, lavoratori che non hanno adeguata rappresentanza sindacale. Questi sono i veri problemi. Il nostro intervento, in verità, è stato piccolo” dice umile uno degli ultimi cineasti impegnati nel sociale e nel cosiddetto cinema-verità.

Già ma dove sta nell’affair torinese la verità? Di qua, dalla parte dei lavoratori licenziati, come afferma il regista di Bred and roses, che lo hanno portato a dire ’niet’ ad Amelio & C., o di là dove dicono i direttori del Torino Festival e del Museo del Cinema? “E’ stato molto triste ciò che è successo, sono dispiaciuto perché credo che ricevere un premio del Festival di Torino sia un onore, e non solo per me come cineasta ma per tutti quelli che hanno lavorato al film. Mi è spiaciuto non poterlo accettare” ribadisce Loach, riferendosi allo ‘scoglio’ dei “lavoratori esternalizzati del Museo del Cinema. C’era un problema ed era evidente, tant’è che il direttore del Museo l’aveva riconosciuto questa estate” spiega il regista e a tale proposito tira fuori un carteggio datato 10 agosto.

I direttori del festival mi hanno scritto dicendomi che erano a conoscenza dei gravi problemi dei lavoratori e che condividevano il  mio dispiacere, assicurandomi che avrebbero fatto di tutto per arrivare a una soluzione ragionevole a salvaguardia dei diritti dei lavoratori”.
Insomma, la questione era già nota in estate, ma è deflagrata pubblicamente sulle pagine dei giornali solo a ridosso del 30. TFF.I lavoratori esternalizzati – ha proseguito Loachavevano salari molto bassi dai quali era anche stato tagliato il 10%. Cinque di questi lavoratori sono stati anche licenziati, per motivi a nostro parere non equi. La differenza di vedute principali tra noi e il Museo è che per noi il datore di lavoro è responsabile, sia che i lavoratori siano esternalizzati o no. Se c’è licenziamento iniquo, poi, la responsabilità è diretta verso il lavoratore. Il direttore non era d’accordo con noi”.

Citando le parole del direttore del Museo, Loach ha poi proseguito “il direttore non si è sentito né direttamente né indirettamente responsabile per il comportamento di terze parti", che tradotto significa ’non ha sentito il diritto di mettere il becco tra aziende e membri delle cooperative esterne’ ma “non si possono eliminare le responsabilità verso gli esternalizzati: lavorano per salari da fame, questo non dovrebbe riguardarci? Noi non siamo d’accordo. I costi del lavoro continuano ad essere tagliati, ecco perché si esternalizza e questo va contro il diritto dei lavoratori”.

Parole dure come pietre che piovono prima della conferenza stampa, a margine della quale, chi si aspetta da Ken ‘il rosso’ Loach qualcosa di ‘sinistra’, lui risponde: “Da ragazzi pensavamo: la rivoluzione verrà domani. Ma la crisi è oggi, il capitalismo è in crisi, e chi si ricorda quei tempi sa che tocca a noi organizzarsi. Stiamo stravolgendo tutti gli elementi che rendono una società civile. Se togli il sostegno ai disabili, se gli ospedali sono sovraffollati, se tutto è in mano alle multinazionali e noi non possediamo più neanche metà della economia, perché ovunque si guardi gli standard sociali sono distrutti, dico che abbiamo bisogno di un nuovo modello economico. E’ urgente” sorride amaro Loach, citando un vecchio slogan sindacale USA che – udite udite - profuma di sinistra: “agitare, educare, organizzare. Tre parole importanti tanto quando rispetto e solidarietà”. E ora che lo slogan è sdoganato, alla gente di sinistra non resta che una sola cosa da fare: action!

 
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