La napoletanità in formato neomelodico. O anche, i neomelodici visti dai neomelodici: affettuosamente da dentro, oltre lo stereotipo. Ed ecco servita un esempio doc di commedia in salsa poliziesca. Ecco Song ’e Napule, dal 17 sugli schermi. Firmano gli ormai mitici Manetti Bros ma l’idea viene da più lontano. Da Giampaolo Morelli ed è di tanto tempo fa. E’ stato lui il primo a volere fortissimamente questo film napoletanissimo e a volerlo firmato dai romanissimi Manetti Bros che ripetono: “Siamo aperti a tutto e pronti a far tutto. E noi abituati a girare sempre in modo un po’ guerrigliero in realtà non ci siamo trovati così male a Napoli, non è vero che al centro non puoi lavorare e che la gente ti crea dei problemi”.
E perchè Morelli (che firma il soggetto e recita al fianco di Alessandro Roja, Serena Rossi, Peppe Servillo e Paolo Sassanelli) ce lo spiega così: “A Napoli convivono la Napoli borghese e quella popolare e a strettissimo contatto. Quindi ci sono due mondi lontani, ma solo in apparenza forse, che convivono forzatamente. La prima scintilla è venuta da qui. Che era un modo di raccontare due napoletanità che mi appartengono entrambe, perché le ho vissute. Io vengo dall’Arenella, un quartiere a metà tra centro e periferia, così sono cresciuto frequentando gente di ogni classe sociale, per cui ho sempre pensato all’idea di mettere un napoletano borghese al centro della Napoli più popolare che è, appunto, la Napoli che si esprime attraverso i neomelodici che sono spesso cantanti e musicisti talentuosi ma che di solito non riescono a fare il salto oltre Napoli”.
Ma perchè raccontare tutto attraverso il mondo dei neomelodici e il loro sguardo? “Volevo sfatare il luogo comune di cantanti neomelodici sempre legati alla camorra, ci sono ma a Napoli c’è anche gente onesta e non dobbiamo dimenticarlo. Poi, perché già da giovane ero molto colpito dai neomelodici, vedevo i video poverissimi ma pieni di grinta dei neomelodici. Ero incantato da loro e da questi matrimoni infiniti che duravano giornate intere. Era una certa napoletanità che io avevo dentro e che non sapevo come raccontare”.
Però ha pensato di farlo con dei registi romani: “Volevo portare i Manetti Bros a Napoli perchè solo loro avrebbero potuto calarsi nel tessuto sociale come un napoletano. E, alla fine, posso dire che non vedevo una Napoli raccontata così da dentro dai tempi di Nanni Loy, anche se qui siamo ovviamente in altro genere. Insomma questo film nasce da una mia idea ed è la sintesi di più desideri. Ma ho pensato ai Manetti come registi perchè so che loro riescono a calarsi in tutto quello che raccontano, anche se non sono napoletani. Sapevo che ce l’avrebbero fatta. per di più emerge anche una Napoli pulita e onesta, cioè quella che non si racconta mai. E poi per me ogni strada è un’inquadratura a Napoli e aspettavo qualcuno che riuscisse davvero a raccontarlo”.
E’ anche un modo di raccontare la Napoli oltre la camorra? “Sì perchè qui della camorra si ride ed è il modo migliore per andare oltre - rispondono i registi -. La nostra è anche una lotta per il cinema di genere che è cinema di intrattenimento ma non solo. Perchè il cinema non è né solo genere e violenza né solo citazione. Si deve sempre rinnovare e deve sempre divertire. Alla fine sembra che noi che cambiamo di continuo genere siamo i soli registi non di genere mentre gli altri registi italiano sono registi di genere. E di due soli generi: o registi di commedia o registi di film d’autore. E comunque per noi non ce n’é senso di appartenenza a un genere, né classificazione e né ricerca. C’è solo libertà".
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