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giovedì 6 marzo 2014
di Claudio Fontanini
La mossa del pinguino
Convince la prima regia di Claudio Amendola, che narra una Full Monty all’amatriciana
Quando i pupazzi (gli attori ndr) funzionano non devi fare nient’altro”. La massima di Steno, confidata tanti anni fa dal grande regista ad un allora giovanissimo Claudio Amendola, deve essere servita da monito all’attore romano per il suo debutto dietro la macchina da presa. La mossa del pinguino, presentato al Torino Film Festival, è infatti un bell’incrocio di interpreti al servizio di una storia che attraverso lo sport parla di sogni, passioni ed amicizia. Senza strafare (opportuna e per certi versi inedita la scelta di non presentarsi anche davanti la macchina da presa, come fanno oggi tanti improvvisatori famelici di notorietà) e con un’amorevole cura per i personaggi ai quali  concede il giusto spazio, Amendola costruisce un bel ritratto di poveri Cristi sulla via del riscatto morale.

Ed ecco un trentenne precario (il lanciatissimo Edoardo Leo) con moglie (Francesca Inaudi) e figlio a carico e alle prese con l’imminente sfratto e una truffa subita; l’amico fidato (Ricky Memphis) che si deve prende cura del padre anziano e malato (Sergio Fiorentini); un ex vigile in pensione zoppo, intrattabile e solitario (Ennio Fantastichini) e un attempato biscazziere (un irresistibile Antonello Fassari) che vive di espedienti e nasconde la sua vera natura dietro un improbabile parrucchino.

Una sorta di armata Brancaleone del quotidiano che trova nel curling (una sorta di bocce sul ghiaccio poco conosciuto in Italia) l’occasione cercata. L’idea è quella di metter su una squadra per partecipare alle Olimpiadi invernali di Torino 2006, trovare uno sponsor e ottenere finalmente la stabilità economica. Inizia così una tragicomica avventura che miscela sapientemente divertimento assoluto e momenti di riflessioni sociali che arrivano a toccare le corde della malinconia.

Tra sindromi di Peter Pan e pentole a pressione usate per gli allenamenti, prime volte sul ghiaccio e vecchi conti in sospeso, compromessi sul Tevere e confessioni a cuore aperto, tattiche di gioco come metafore di vita (sbocciare o accostare?) e lenzuola stese al profumo di lavanda, ecco un riuscito Full monty all’amatriciana (ma è evidente anche l’eco di Machan, il film del 2008 di Uberto Pasolini che raccontava di un gruppo di cingalesi in fuga dal terzo mondo alle prese con un torneo di pallamano in Germania) che rievoca i toni e le atmosfere della commedia all’italiana del tempo che fu. Merito di una sceneggiatura ben costruita (scritta a otto mani da Amendola ed Edoardo Leo con Michele Alberico e Giulio Di Martino), di dialoghi sempre affilati ed autentici e di una squadra di attori in stato di grazia per resa e partecipazione. Aveva proprio ragione Steno.

Nelle sale dal 6 marzo distribuito da VIDEA CDE

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