“Quando i pupazzi (gli attori ndr) funzionano non devi fare
nient’altro”. La massima di Steno, confidata tanti anni fa dal grande regista
ad un allora giovanissimo Claudio Amendola, deve essere servita da monito
all’attore romano per il suo debutto dietro la macchina da presa. La mossa del
pinguino, presentato al Torino Film Festival, è infatti un bell’incrocio di
interpreti al servizio di una storia che attraverso lo sport parla di sogni,
passioni ed amicizia. Senza strafare (opportuna e per certi versi inedita la scelta
di non presentarsi anche davanti la macchina da presa, come fanno oggi tanti
improvvisatori famelici di notorietà) e con un’amorevole cura per i personaggi
ai quali concede il giusto spazio,
Amendola costruisce un bel ritratto di poveri Cristi sulla via del riscatto
morale.
Ed ecco un trentenne precario (il lanciatissimo Edoardo Leo) con moglie
(Francesca Inaudi) e figlio a carico e alle prese con l’imminente sfratto e una
truffa subita; l’amico fidato (Ricky Memphis) che si deve prende cura del padre
anziano e malato (Sergio Fiorentini); un ex vigile in pensione zoppo,
intrattabile e solitario (Ennio Fantastichini) e un attempato biscazziere (un
irresistibile Antonello Fassari) che vive di espedienti e nasconde la sua vera
natura dietro un improbabile parrucchino.
Una sorta di armata Brancaleone del
quotidiano che trova nel curling (una sorta di bocce sul ghiaccio poco
conosciuto in Italia) l’occasione cercata. L’idea è quella di metter su una
squadra per partecipare alle Olimpiadi invernali di Torino 2006, trovare uno
sponsor e ottenere finalmente la stabilità economica. Inizia così una
tragicomica avventura che miscela sapientemente divertimento assoluto e momenti
di riflessioni sociali che arrivano a toccare le corde della malinconia.
Tra
sindromi di Peter Pan e pentole a pressione usate per gli allenamenti, prime
volte sul ghiaccio e vecchi conti in sospeso, compromessi sul Tevere e
confessioni a cuore aperto, tattiche di gioco come metafore di vita (sbocciare
o accostare?) e lenzuola stese al profumo di lavanda, ecco un riuscito Full
monty all’amatriciana (ma è evidente anche l’eco di Machan, il film del 2008
di Uberto Pasolini che raccontava di un gruppo di cingalesi in fuga dal terzo
mondo alle prese con un torneo di pallamano in Germania) che rievoca i toni e
le atmosfere della commedia all’italiana del tempo che fu. Merito di una
sceneggiatura ben costruita (scritta a otto mani da Amendola ed Edoardo Leo con
Michele Alberico e Giulio Di Martino), di dialoghi sempre affilati ed autentici
e di una squadra di attori in stato di grazia per resa e partecipazione. Aveva
proprio ragione Steno.
Nelle sale dal 6 marzo distribuito da VIDEA CDE