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martedì 24 settembre 2013
di Silvia Di Paola
Tutta colpa di Freud, il set
Incontro con i protagonisti del nuovo film di Paolo Genovese, girato tra Roma e New York

Tre figlie, una libraria che si innamora di un ladro di libri che scopre poi sordo, una lesbica che dopo l’ennesima delusione decide di diventare etero e una diciottenne che si innamora di un cinquantenne, re cuori che scoppiano e un papà psicoanalista che passa la metà del tempo a psicoanalizzare le figlie. Ed è Tutta colpa di Freud come recita il nuovo film di Paolo Genovese, girato nel cuore di Roma con gustose puntate newyorkesi, alla quarta settimana di lavorazione e dal 23 gennaio nei nostri cinema. L’idea? E’ presto detto: “Era quella di raccontare le differenze ma con leggerezza attraverso la storia di un padre che ha cresciuto le sue figlie da quando la moglie lo ha abbandonato, che alle figlie ha dedicato tutto, che mai si è risposato o innamorato almeno sino ad oggi che pensa a una donna che lui vede solo passare dalla finestra. E le vite degli altri attraverso l’occhio di questo psicanalista”.

Circa sei milioni di euro, girato tra New York e Roma, con visibile ricchezza produttiva e con molta Roma antica: “Abbiamo girato nel centro storico dove ormai si gira pochissimo perchè non è facile, tra Piazza Navona e Campo dei Fiori che noi italiani non raccontiamo molto, anzi per nulla. Praticamente lo ha fatto Woody Allen l’ultima volta ma da straniero. Io ho voluto provarci da italiano anche se il Comune di Roma non aiuta affatto, anzi è veramente difficile ottenere i permessi, avere un minimo di flessibilità ma alla fine, nonostante i costi, sono felice perchè credo che visivamente questo film potrà folgorare, sarà di quei film che vanno visti al cinema e non scaricati e del tutto diverso dagli altri miei film”.

Così Genovesi che, però, se gli si domanda se è stato più facile girare a New York, risponde: “No, lì sono molto rigorosi ma anche perchè li tutto è regolato a monte e il ruolo del regista è più di esecutore, lontanissimo del regista faidate all’italiana. I registi americani si siedono a tavolino e mettono tutto nero su bianco, non si muovono liberi come noi e non improvvisano, per cui se hai il permesso per girare in una strada magari lo hai per un marciapiede e non puoi neppure spostarti sull’altro. Insomma non è più facile ma per ragioni diverse”.
E mentre parla gli attori si muovono in mezzo alle sagome del Teatro dell’Opera di Roma a raccontarsi. O, meglio, a raccontare i propri ruoli.

Io per la prima volta ho lavorato molto e faticosamente sul set e per questo ringrazio il regista. La fatica è stata nel fatto che per la prima volta interpreto un uomo pacatissimo che non fa casini e che non fa a cazzotti” sintetizza Marco Giallini.
Io sono una maschera del Teatro dell’Opera anche se sordo amo la lirica e non potendo seguire con le orecchie, seguo con i libretti che rubo” accenna Vinicio Marchioni.
Io sono un uomo che perde in sicurezze strada facendo ma guadagna altre cose. La mia difficoltà vera sul set è stata l’essere un coetaneo di Giallini, cosa insopportabile a prescindere dalla mia età che purtroppo ai 50 si avvicina. Ma sono felice di avere una moglie come la Gerini e un’amante molto giovane” scherza, ma non troppo, Alessandro Gassman.

Dopo aver lavorato con Genovesi in Una famiglia perfetta sono felice di esser qui. Sono una donna un po’ fredda e misteriosa, sicura di sé. Non sappiamo quasi nulla della sua quotidianità, la vediamo solo attraverso gli occhi dello psichiatra, è elegante e ama il suo cagnolino da cui non si separa mai” chiosa la Gerini.
Non mi piace dire del mio personaggio che è lesbica, preferisco dire che è un po’ dissociata e che è una combattente che non si mai abbattere. Il bello è che lei ha vissuto a New York e così io tra Manhattan e Brooklyn mi son beccata la parte newyorkese del set, la più bella, faticosa dal punto di vita produttiva ma a me non interessa questo aspetto. Girare a New York da attore è il massimo” dice esuberante Anna Foglietta.

E la romantica libraria con la faccia dolce di Vittoria Puccini? “Lei sogna sempre, comincia a seguire il ladro di libri e non sa che è sordo. E’ stato bello lavorare sulla difficoltà dei due ragazzi di comunicare e di trasmetterlo cinematograficamente con gesti e sguardi. Ti fa arrivare subito a una forte intimità con i personaggi” risponde l’attrice e poi, tutti insieme appassionatamente, confessano di essere stati in analisi anche nella vita reale. Di più. Con le parole di Gassman: “Credo che un po’ di analisi faccia bene a tutti”.

 
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