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mercoledì 19 dicembre 2012
di Alessandra Miccinesi
La Bottega dei suicidi by Leconte
Il regista a Roma presenta il suo film, vietato ai minori di 18 anni: "una decisione assurda"

La notizia piomba come un fulmine a ciel sereno: La Bottega dei suicidi, il primo film d’animazione del pluripremiato regista Patrice Leconte, e’ stato a sorpresa vietato ai minori di 18 anni, ’’per la leggerezza con cui e’ trattato il tema e la facilita’ d’esecuzione’’ portando, secondo la commissione che lo ha giudicato, ad un forte rischio di emulazione. Il regista, a Roma proprio per presentare la sua opera applaudita fuori concorso al Festival di Cannes, commenta amaro: ’’e’ assurdo’’ mentre la casa di distribuzione Videa ha già annunciato la sua intenzione di fare ricorso.

Esterrefatto e deluso Leconte dice: "l’ho saputo solo ieri e sono rimasto sbalordito. La mia nipotina di 8 anni ha visto il film e lo ha adorato, anche i suoi amici si sono identificati con Alan portatore del messaggio che la vita è bella e gli adulti tristi. Il divieto italiano è assurdo, non ho mai voluto spingere le persone al suicidio". Il film lo ricordiamo non ha ricevuto alcun divieto in Spagna, Belgio e Svizzera, e anche il romanzo non ha ricevuto divieti, anzi, è un best seller amato lettori di tutto il mondo. Decisione assurda, quindi, porre il divieto "due giorni prima la fine del mondo" commenta ironico Leconte. Appunto, ma torniamo all’oggi.

Con La bottega dei suicidi siamo dalle parti della Sposa cadavere e della Night before Christmas di Tim Burton, ma la fantasia che partorisce questo cartoon deliziosamente macabro e irresistibilmente ironico, con tocchi di musical e una grafica gioiosa da secondo millennio, che scherza coi suicidi ma innamora, è firmata Leconte. Il regista de La ragazza sul ponte, Il marito della parrucchiera e Confidenze troppo intime si era imbattuto nel romanzo di Jean Teulé per la sua puntuta anticonvenzionalità, ma ha dovuto attendere quattro anni prima di cimentarsi con un progetto a suo tempo rifiutato.

I tetti dei palazzi pullulano di gente che si lancia nel vuoto, i pedoni attendono con sguardo mesto lo scatto del semaforo per gettarsi sotto le ruote delle auto in transito, e persino i piccioni piombano al suolo senza vita, in un tonfo sordo di penne e piume al vento. In questa Parigi triste e bigia, cupa di pioggerellina sottile, dove il traffico è lento ma costante tanto quanto il suicidio per strada – anche se la pubblica morte è punita con una salatissima multa - in una rue non meglio precisata c’è un negozio sgargiante di luce e colori che attira frotte di clienti, tutti aspiranti cadaveri: è la bottega dei suicidi, negozio che è un fiorire di gadget mortali, utili a garantire un trapasso a misura di gusti e portafoglio, per clienti da slogan ‘soddisfatti o rimborsati’.

Lo gestiscono i baldanzosi coniugi Michima e Lucrece Tuvache con i figli adolescenti, tristi e depressi curvi con la fronte sul bancone, Marilyn e Vincent, ai quali è rigorosamente vietato sorridere o dire buongiorno ai clienti che varcano la soglia in cerca di una corda per impiccarsi, del cianuro o funghi velenosi da ingerire, lamette per tagliarsi le vene o spade affilate per nobili hara kiri.
Quando il produttore Gille Podesta – ha detto Lecontemi ha suggerito di farne un film d’animazione anziché un lungometraggio di finzione mi si è accesa la lampadina. L’animazione mi avrebbe permesso di ricostruire cose bizzarre, fuori dall’usuale, dare vita a un mondo immaginato. Perciò dopo 48 secondi di riflessione ho detto sì”.

Malgiorno bisbigliato ai clienti invece di buongiorno, botole che si aprono e che si chiudono nel pavimento, ganci pendenti dal soffitto, bare per l’estremo riposo coperte di chiodi e offerte di San Valentino per innamorati pronti a morire insieme. Lo slogan della bottega dei suicidi? Efficace e ironico: "trapassati o rimborsati, e, se la tua vita è un fallimento fai della tua morte un successo”. Perché un dolce trapasso è la sicumera contro la crisi e il carovita. Basta vedere scorrere i titoli di testa per capire l’approccio di Leconte al progetto. “Doveva essere un musical, ne ero certo, era tempo che volevo cimentarmi con questo genere. Questa storia si prestava magnificamente perché mi avrebbe consentito di fare un film molto dark ma allo stesso tempo molto allegro”.

Non è un caso, quindi, che il prossimo progetto del regista si intitoli Music: "script originale che racconta di un mondo senza musica. Io amo la musica in relazione al cinema, non potrei immaginare un film senza note perché il cinema è ritmo, emozione e sensibilità". L’unione tra note e animazione, nella Bottega dei suicidisolleva lo spettatore dal dramma sinistro di assistere al suicidio di un uomo che trangugia una fiala di veleno, e non solo. “Rende accettabile l’idea di un padre che esasperato dal buonumore del figlio di sette anni gli suggerisce di iniziare a fumare, nella speranza che gli venga un tumore ai polmoni”.

Detta così suona davvero macabra, un’idea davvero intollerante resa accettabile dal fatto che si tratta di una storia dark, fiorita sul grande schermo in maniera davvero struggente. “Nonostante l’influenza di Night Before Christmas di Burton, dal quale spero di non essere stato influenzato troppo, volevo fare un film di animazione che fosse anche un musical sovversivo e per famiglie, politicamente scorretto e per tutte le età” chiarisce Leconte che da giovane era un avido lettore di fumetti “ho sempre amato disegnare e dopo aver finito la scuola di cinema ho lavorato per cinque anni per la rivista Pilote, amo il cinema di animazione”. 

Una dedizione che tracima dai fotogrammi di questo cartoon in cui, l’equilibrio cinico-dark della famiglia Tuvache salta con l’arrivo del terzo figlio Alan ragazzino dai capelli rossi nato con un sorriso stampato in volto che il padre – allergico al buonumore - scambia per una piega della bocca. “Il papà? è un uomo piacevole con baffi sottili e fisico da parrucchiere; sua moglie sempre elegante con un’impeccabile pettinatura ad alveare e rossetto perfetto, e due figli sfigati e pigri”.
Insomma, una famiglia di bottegai gentili e accomodanti solo per dovere economico (“in famiglia vale la regola del branco”) per nulla sfiorata dal senso di colpa a causa degli articoli in vendita: “lo facciamo per senso del dovere non per avidità – spiega mamma Tuvache ai pargoli – non siamo assassini, ai clienti noi forniamo solo l’occorrente”.

Strumenti di morte che vanno dalle pallottole per revolver vendute col sovrapprezzo (“è la tariffa notturna” si giustifica monsieur Tuvache col derelitto appeso alla saracinesca del negozio), napalm e serpenti a sonagli per suicidi coraggiosi, pozioni velenose e fiale mortali recapitate a domicilio per quanti desiderano una morte rapida e istantanea. E pazienza se, in preda a un rigurgito di coscienza, papà Tuvache finisce sul lettino dello psicanalista, perché a salvare i membri della famiglia sarà il ciclone Alan, tripudio di sorrisi e incarnazione della joie de vivre, che grazie alla sciarpa di seta rosa regalata alla sorella trasformerà una cupa e depressa adolescente in una creatura affascinante e vitale.

Leconte ritrova in questa narrazione l’entusiasmo della prima volta (“si tratta del mio primo lungometraggio d’animazione e ho ritrovato l’entusiasmo del processo creativo, ne farò presto un altro”), concedendosi una unica libertà rispetto alla storia originale, il cambio di finale. “Quando lo lessi la prima volta mi sembrava coerente – spiega Leconte ma nell’ottica del film mi è parso bizzarro, lievemente incoerente, questo ragazzino che è perennemente in guerra contro il suicidio e alla fine cambia idea. Credo che il film sia scorretto e sovversivo, ma anche divertente. Anche se si tratta di un lungometraggio di animazione pensavo non fosse giusto deludere il pubblico e così mi è venuta l’idea di optare per un finale kitsch dove la felicità cola dai muri”. Almeno al cine, almeno a Natale... almeno per i maggiorenni, per ora. 

Nelle sale dal 21 dicembre distribuito da VIDEA

 
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