Tutto in prima persona, tutto sul respiro, tutto con tanto di spudorate (ma dichiarate) citazioni da 9 settimane e 1/2, dove al posto di una lei che si spoglia c’è un lui che ha la faccia e il corpo di Giulio Berruti e tanto basta. Ma, oltre al sesso evocato e mostrato, in solitaria e in compagnia, oltre lingue e baci, oltre i corpi traghettati da centro di attrazione all’altro c’è l’insostenibile dubbio dell’amore. Sempre ambiguo, almeno se è vero. E anche se qui la nostra lacerata protagonista (una bravissima Anna Foglietta) traduce l’amore in dubbio solo dopo aver incontrato il suo principe azzurro. Anzi quando tutto crolla: “Tu sei stato il mio principe azzurro e guarda cosa hai fatto...hai trasformato l’amore in dubbio. Ambiguo” gli grida e da allora cominceranno i suoi equilibrismi.
Per questo il titolo recita L’amore è imperfetto e arriva dritto alla pelle, sotto la pelle di chi guarda. Il film come il libro che lo ha partorito. Firma il tutto Francesca Muci al suo esordio in fiction , anche se sino ad oggi ha alacremente girato doc importanti, e da giovedì sarà nei cinema in 128 copie per RaiCinema. Ma da dove arriva questa storia? Strano a dirsi ma, racconta la Muci, “mi trovavo in Israele a girare documentario e mi è venuta da lì la voglia di parlare di una donna moderna e libera. Ma l’idea della storia specifica è nata proprio dall’sms erotico di una donna che non mi aspettavo. Nella mia vita la storia non è andata come nel film ma il pretesto mi molto piaciuto. E ho scelto Bari perché rappresentava esattamente lo spirito della protagonista, ha il lungomare più lungo forse d’Europa e volevo che nella storia ci fosse questo senso babelico di incontri. Ogni protagonista ha il suo carico d’origine, c’è chi parla con accento palermitano, chi è napoletano, uno è francese, era perfetto per raccontare non l’amore a Bari ma l’amore in assoluto però incorniciato nel lungomare di Bari anche per campanilismo perché è la mia terra”.
E il passaggio da pagina a schermo?
“Abbiamo scelto la linea della leggerezza, un po’ come una donna che cammina sul filo, ogni tanto casca, poi si riprende ma ciò che conta è rialzarsi con grazia, senza cupezza“. E la Foglietta: “Sappiamo che in Italia tendono a non farti cambiar ruolo, a farti far sempre la stessa cosa. Io ho avuto la fortuna di questa offerta, un ruolo quasi doppio, il privilegio di potere interpretare una donna ma è come se fossero due. Un privilegio, che mi ha aiutato anche a lavorare su scene non facili, le scene di sesso, perchè sono scene in cui una donna può sentirsi violata. Non non ci siamo buttate, nessuno ci ha detto di andare sino a dove potevamo. Avevamo esattamente definito il punto sin cui dovevamo spingerci, tutto è stato molto professionale”.
Ringrazia anche Giulio Berruti, appena visto nudo nel film di Peter Greenway al festival di Roma e qui impegnato in spogliarelli e nudi non frontali, che confessa: “Quando ho visto le due scene più imbarazzanti del film ero impaurito ma poi ho pensato che era una bella prova per un attore. Diciamo che nelle scene di nudo e nella scena dello spogliarello ho fatto ricorso all’ironia, mescolandola con l’imbarazzo per ridare un senso di fragilità assoluta. Perchè lui è l’antieroe vulnerabile, vuole essere padre a tutti i costi, nonostante non ami le donne ed è ovvio che si senta fragile”.
Lo spettatore è avvisato: tutto l’amore e l’eros del film odora e vuol odorare di melò. Con leggerezza e questo fa la differenza.