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lunedì 20 febbraio 2012
di Silvia Di Paola
Patò, Camilleri e la Sicilia profonda
"La scomparsa di Patò" diventa un film di Rocco Mortelliti con la supervisione di Andrea Camilleri

Antonio Patò che fu Giuda nella rappresentazione del Mortorio a Vigata, anno 1890, e sparì subito dopo. Cadde nella botola impiccato per finta ma sparì davvero. A indagare su grappoli di perché e sottoboschi di misteri due poveracci che sembrano non raccapezzarsi ma poi capiscono. E non è detto che a quel punto il  problema sia risolto. Da dove può arrivare questa storia al cinema se non dalla pagine di Andrea Camilleri, dato che siamo nella Sicilia profonda?
Eccolo il primo lungometraggio cinematografico dal grande vecchio, La scomparsa di Patò (prodotto da Donatella Palermo e grazie al fondamentale aiuto della Regione Siciliana), dal 24 nei cinema in 30 copie e il 22 in anteprima a Palermo.

Lo traduce Rocco Mortelliti, lo interpreta con Neri Marcorè, Nino Frassica e Maurizio Casagrande, Alessandra Mortelliti (“Lavorare con mio padre è stato particolare, direi ambivalente: da un lato la rilassatezza che solo tuo padre può darti, dall’altro le bacchettate più frequenti, a volte incalzanti. Lavorare con mio nonno Andrea è un grande onore. Mi fido molto del suo parere, è il mio consigliere in tutto ciò che faccio, soprattutto il teatro! Il mio personaggio mi è stato sin da subito molto antipatico perché non l’ho interpretato come avrei voluto, mi è stato imposto dal regista. Avrei voluto farlo più comico e sopra le righe”) e con Camilleri a collaborare ma in margine. O, almeno, così lui dice.

Di mio - spiega infatti il papà del commissario Montalbano - ci ho messo ben poco, sono gli sceneggiatori i protagonisti. A me è arrivata in mano la sceneggiatura già pronta di Nichetti e Mortelliti ed io non ho fatto che delle correzioni marginali, nulla di fondamentale. Del resto è giusto così, il regista deve farsi un suo film, ciò che conta è che resti il senso profondo”.
E il senso sta nella domanda sul perchè un uomo vuole scomparire. Come chiosa Camilleri: “Almeno una volta nella vita capita a tutti di dire o di pensare: io sparisco e voi ve la sbrigate da soli” . Ma non è solo questo, attorno alla domanda ruota, gravita, pesa la supponenza del potere che esige che tutto avvenga secondo le sue regole, sotto i suoi occhi e tra le sue mani ma tutto questo c’era già nei dialoghi, tra le pagine. “Che cosa avrebbe dovuto chiedermi in più? - aggiunge Camilleri - il permesso?”.

Nessun permesso, anche perché tra quel passato e questo presente, tra quei farabutti e quelli di oggi sul suolo italico il passo è breve. Perché Patò è un farabutto di sempre. Dove è oggi? Dove sono i suoi colleghi?
Basta aprire i giornali per trovare i Patò di oggi. La differenza tra quelli di allora e i farabutti di oggi è che i Patò di oggi fanno l’imbroglio e non scompaiono. La mafia, la camorra e tutto il resto c’è ancora, come l’evasione fiscale resta finché non si ha la volontà di combatterla. Non voglio dire che nulla cambia ma voglio sperare in un rinnovamento degli italiani. Perchè i farabutti, mafiosi o no, non sono padreterni, sono uomini come noi. Se tutti la vogliamo combattere, li facciamo sparire ma deve esserci la volontà che non c’è stata sino ad oggi”.

Effettivamente, aggiunge Marcorè (che è il Patò della situazione e cui è stato chiesto “la vuoi fare una scomparsata?” e che vorrebbe essere protagonista de La Bibbia), “oggi i Patò possono anche comandare le navi ma poi grazie a Internet sono sempre recuperabili. E’ una storia molto contemporanea e poi quando sei sicuro di testo e sceneggiatura vai in automatico. Ma interpretare Patò era interessante perché Patò, nonostante del secolo scorso, è un uomo contemporaneo. Almeno in Italia. Un politico tedesco si dimette per nulla, abbiamo visto. Qui è un verbo che non esiste. E, comunque, un farabutto è sempre divertente da interpretare”.

E si è divertita anche la coppia di poliziotti Frassica-Casagrande?
Veniamo dalla stessa scuola e poi interpretare un siciliano, recitare nel mio dialetto, con una sceneggiatura già pronta e l’autore a portata di mano è stato un  grande vantaggio per me. Solo Neri ha avuto problemi: impara subito i dialetti dei luoghi in cui va ed è riuscito a parlare in modo non falso, come spesso parlano al cinema i non siciliani” dice Frassica. E Casagrande: “Da napoletano sono abituato a personaggi che vengono visti dall’alto in basso, mentre stavolta venendo dalla Napoli di fine Ottocento, colta e più industrializzata della Sicilia di allora era l’opposto. E poi ho scoperto aspetti molto profondi della sicilianità”.

E la recitazione in dialetto ha aiutato anche Guia Jelo che ammette: “Sono stata felice da subito di fare questo film. E’ la seconda cosa che lavoro dalle pagine di Camilleri, dopo esser stata per la tv la protagonista de Il ladro di merendine. Ho chiesto il permesso al regista di velocizzare al massimo il mio monologo del film, l’ho stringato, utilizzando un dialetto antico che avevo sentito da mia nonna, qualcosa di molto ermetico, quasi kafkiano”. E poi dedica il tutto al padre appena scomparso: “Ci tengo molto, lui fa il prete nel film e io ci tengo a ricordarlo”. Ma a Guia ci tiene molto Camilleri, che ringrazia: “Se avessi pensato io a una cosa del genere, ad accelerare il monologo non mi sarebbe dispiaciuto. E dico viva l’attore che può dare sempre qualcosa di inaspettato”.

 
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