Un attempato venditore di frullatori dell’Illinois si trasforma in smaliziato imprenditore e trasforma un chiosco di hamburger a San Bernardino in un impero che ad oggi conta oltre 35.000 ristoranti in tutto il mondo. Diretto da John Lee Hancock con la sceneggiatura originale di Robert Siegel (“The Wrestler”) e interpretato da un survoltato e mefistofelico Michael Keaton, The founder è l’ennesima variazione sul tema sogno americano.
Storia vera che racconta la nascita e la trasformazione della catena McDonald, il film mette in scena la battaglia sul fronte di un doppio capitalismo: quello sostenibile teorizzato dai fratelli fondatori del marchio (sullo schermo Nick Offerman e John Carroll Lynch) e della catena di montaggio di preparazione dei cibi di alta qualità e quello spinto di Ray Kroc (“Gli affari sono una guerra e io voglio vincerla” dice Keaton mettendo alle strette i McDonald) che fiuta l’affare e cerca l’espansione ad ogni costo cercando affiliazioni commerciali e successo personale. Ed ecco che dall’iniziale stupore per quel piccolo negozio che vende hamburger nel 1954 e per la quale la gente fa la fila e viene servita in poco tempo al banco delle ordinazioni, quell’uomo insoddisfatto con moglie vicina che non lo comprende sino in fondo (Laura Dern) passa all’azione insinuandosi come un lupo nel pollaio della premiata ditta McDonald.
Prima firma un contratto capestro che non gli concede autonomia d’azione, poi, con l’aiuto di un mago della finanza che lo mette sulla strada giusta (“Il suo terreno non è l’hamburger ma l’immobiliare” gli dice spingendolo ad acquistare i terreni dove sorgeranno i nuovi ristoranti) consentendogli addirittura di strappare ai due fratelli, nel 1961, il controllo della società. Domanda ed offerta, accordi da rinegoziare (“Un contratto è come un cuore: è fatto per essere spezzato!”) e modelli da superare (“McDonald sarà la nuova chiesa americana. E poi non sarà aperto solo la domenica…”), sinfonie di efficienza (con le prove lavorative su un campo da tennis) e un disco motivazionale da mettere sul piatto nei momenti di crisi (“Più del genio e del talento conta la perseveranza”), canzoni al pianoforte e frappé in polvere per risparmiare sulle bollette, ambizione sfrenata (“E’ l’essenza della vita”) e una casa da impegnare in un film teso e coinvolgente che cita l’Henry Ford del Tucker di Coppola ed evita accuratamente la retorica, sempre in agguato in operazioni del genere.
Peccato soltanto per qualche passaggio narrativo un po’ troppo sbrigativo e per l’entrata in scena improvvisa di qualche personaggio che meritava maggiore attenzione. Un duello ideologico combattuto a colpi di inventiva e magniloquenza (magnifico Keaton che si presenta con un assegno in bianco per la vendita della società sul letto d’ospedale di uno dei due fratelli) con quegli archi dorati che indicano la via da percorrere ed un nome che rappresenta una concezione di vita. “Sa di America” dice in sottofinale l’ex venditore di frullati che sul suo biglietto da visita mette sotto il suo nome la dicitura fondatore usurpando il ruolo dei due McDonald. “Se non puoi batterli, comprali” e così i due veri fondatori si dovranno ‘accontentare’ da un assegno da 2.700.000 dollari e di una stretta di mano sull’1% dei futuri profitti...
Nelle sale dal 12 gennaio distribuito da Videa
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