La ribellione adolescenziale combattuta con le armi dell’integralismo religioso. Provocatorio e raggelante, Parola di Dio del russo Kirill Serebrennikov (Premio Marc’Aurelio al Festival del Film di Roma nel 2006 con “Playing the victim”) è il classico film a tesi nato per scatenare il dibattito a fine visione ma, come vedremo, più interessante sulla carta che riuscito sullo schermo. Giovane problematico con padre assente e madre indaffarata sul lavoro, Veniamin (l’impassibile e perturbante Petr Skvortsov Grigoryi) vive la propria adolescenza in disparte in un mondo tutto suo nel quale la Bibbia è la sua guida.
Per lui alle ragazze non dovrebbe essere concesso di partecipare alle lezioni di nuoto in bikini, insegnare educazione sessuale è sbagliato (soprattutto se in classe arrivano delle carote sulle quali infilare preservativi), l’evoluzionismo è una teoria non provata alla quale dovrebbe essere affiancato il creazionismo e l’industrializzazione è il male del mondo. In piena crisi mistica e citando a memoria i passi più cruenti della Bibbia (riportati sullo schermo con tanto di verso, capitolo e libro al quale si riferiscono), Veniamin dichiara guerra alla depravazione fisica e morale e imbraccia la spada di Dio contro donne, ebrei e miscredenti finendo per portare dalla sua parte buona parte del corpo insegnante, ad eccezione dell’insegnante di biologia, cresciuta alla scuola della scienza e del razionalismo, che arriva a combatterlo con le sue stesse armi finendo però travolta dagli eventi.
Ragione contro fede cieca (“Io non vivo per quella ma per quella piuttosto morirei” dice il ragazzo al prete ortodosso che cerca di incanalare la sua violenza in atti di proselitismo), atti di bullismo e un amico storpio da miracolare e che forse nutre sentimenti diversi dall’ammirazione, sermoni e isterie profetiche in un apologo sull’intolleranza che promette molto e lascia un poco delusi e spiazzati alla fine. Perché va bene mettere in scena il delirio mistico di un ragazzo che usa la religione come forma di manipolazione mentale (e per una volta non parliamo di Corano e di Isis ma di Bibbia e Cristiani) ma dopo la premessa quello che manca al film di Serebrennikov è il contraddittorio, la dialettica.
E non basta certo l’eroica insegnante di biologia a pareggiare i conti con un direttivo scolastico che in alcune sequenze sembra uscito dalla Marylin Monroe del “Bianca” di Moretti per quanto appaia surreale e involontariamente comico. Tratto da una pièce teatrale Marius von Mayenburg, ambientato a Kalingrado (un’enclave russa in Europa situata tra Polonia e Lituania che prima della Seconda guerra mondiale era una città tedesca che aveva dato i natali a Emmanuel Kant), passato a Un Certain regard all’ultimo Festival di Cannes e filmato con lunghi piani sequenza, Parola di Dio (“The student” in originale) tra pregiudizi e false certezze, ipocrisie e ambiguità smarrisce il filo rosso dell’ambiguità divenendo un monolite filmico al quale è difficile appassionarsi e credere fino in fondo. Colpa di personaggi troppo schematici e prevedibili al servizio dell’idea piuttosto che capaci di vivere di vita propria. Anche questo è un peccato grave.
Nelle sale dal 27 ottobre distribuito da I Wonder Pictures |