Dalla grande bellezza alla grande bruttezza. Quella della città eterna nella quale un sottile filo rosso lega l’antico quartiere del Palatino (un ghetto dove c’erano bordelli e taverne, punto d’incontro tra nobili senatori e gente di malaffare) alla moderna Suburra dove s’incrociano i destini del potere e della corruzione. Cupo, violento e girato sotto una pioggia incessante che preannuncia l’Apocalisse, il secondo lungometraggio di Stefano Sollima (“Acab” al cinema nel 2012 ma alle spalle anche la serie televisiva di “Romanzo criminale” e di “Gomorra”) conferma il talento visivo di un regista specializzato nel film di genere e capace di raccontare senza retorica e demagogia.
Nell’arco temporale di una settimana (dal 5 al 12 novembre del 2011) si dipana una storia realistica e premonitrice (il film è stato scritto tre anni prima dello scandalo di Mafia capitale) popolata da personaggi inventati e balzati poi agli onori delle cronache. Al centro di tutto (sceneggiatura di Rulli e Petraglia con Bonini e De Cataldo autori dell’omonimo romanzo edito da Einaudi) l’ambizione sfrenata e il delirio d’onnipotenza di uomini disposti a tutto per di mantenere, o conquistare, il proprio posto al sole. Con un progetto di speculazione edilizia, il Water-front, che intende trasformare il litorale romano in una nuova Las Vegas.
Politici corrotti (un magnifico Pierfrancesco Favino che dopo aver visto morire d’overdose una minorenne sul suo letto si affaccia al balcone dell’hotel e urina nudo sulla Capitale) e PR viscidi e senza scrupoli (Elio Germano, per una volta sfocato e fuori parte), malavitosi di periferia in rotta col passato (Alessandro Borghi, già visto in “Non essere cattivo” di Caligari e migliore in campo dell’ottimo cast) e avvenenti escort (Giulia Elettra Gorietti), avvocati a libro paga e fidanzate tossicodipendenti (Greta Scarano), capoclan di zingari (lo spaventoso Adamo Dionisi) e l’ultimo reduce della Banda della Magliana (un quintessenziale Claudio Amendola) in un girotondo mortale mosso dal denaro e dalla legge del più forte.
Con le stanze affrescate del Vaticano (il Papa vuole dimettersi…) e le case pacchiane e straboccanti dei boss, le aule del Parlamento e il lungomare del litorale romano a darsi idealmente la mano fino a stringersi in un abbraccio mortale. Più agile e snello rispetto al romanzo, il film di Sollima ha tensione e gran ritmo ma sconta a lungo andare i difetti di una sceneggiatura monocorde e troppo richiusa su un mondo a parte. Nessun poliziotto in scena, nessuna moralità a far da contraltare a quell’esercito di criminali dall’aspetto variegato e così a Suburra manca la visione generale, il quadro d’insieme di una città specchio nella quale si riflette un paese.
Ed ecco pestaggi e ricatti, scene da antologia (il suicidio di Antonello Fassari, la sparatoria al centro commerciale, l’esecuzione nella baracca) e colpi di scena forzati (la vendetta di Elio Germano), pubbliche relazioni che fanno rima con connivenze e cambi generazionali combattuti a colpi di pistola (“Tu eri, io sono” dice Borghi ad Amendola che predica calma in uno dei dialoghi migliori del film). Con quell’acqua che continua a cadere dal cielo e che fuoriesce da strade e tombini a simboleggiare la saturazione di un’epoca e di un sistema. Ma l’arca di Noè ancora non si intravede. Nelle sale dal 14 ottobre distribuito da 01
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