Un’altra storia di rapporti padre-figlio. Un’ altra storia di un vuoto da colmare e di uno specchio da cercare. Che è ciò che significa per Pupi Avati raccontare di padri. Anzi del padre. Come lui oggi confessa: “Questa ostinazione a raccontare di figure paterne dipende forse dal fatto che non ho avuto una figura paterna, perché mio padre è morto quando avevo 12 anni. Da ragazzi non lo sentivamo perché le madri compensano molto e sono affettuosamente accoglienti. Io ho potuto coltivare il cinema proprio forse perché non ho avuto un padre che mi avrebbe indirizzato verso cose più lucrose. Da adulto è stato diverso. E poi mio padre ha lasciato un piccolo film non fatto ed è un po’ come se io avessi passato il testimone. Questo che racconto qui è uno dei film più belli che posso immaginare. E mi auguro che anche con i miei figli ci sia un passaggio di testimone. E chi non vorrebbe un figlio come quello del film?”
Non a caso il titolo del film recita Un ragazzo d’oro (pronto ad essere sfornato il 18 ottobre in sala in oltre 300 copie) e racconta di un figlio che pensa di odiare il padre da cui è fuggito e che invece scopre di amarlo dopo la sua morte violenta, sino a sacrificarsi del tutto per lui. Il figlio ha la faccia di Riccardo Scamarcio e il languore triste di Avati convinto che “anche io sono un po’ fallito nel senso che sento di non aver ancora fatto il film della mia vita e sento che il tempo incombe e forse non lo farò”. E il figlio, Tommaso, conferma: “Da subito era chiaro che raccontavamo la nostra storia, da padre e da figlio, ma non ce lo dicevamo”.
E che cosa c’entra, invece, Sharon Stone in questa storia? “La Stone mi è venuta in mente immediatamente davanti al personaggio di signora straniera che ha fatto un bel matrimonio a Roma e si è inventata un nuovo lavoro, doveva essere una donna carismatica, capace di sedurre anche se non vuole il protagonista. Certo che ci sono attrici americane più talentuose della Stone ma sono poche le attrici così d’impatto, così icone. Però è una delle cose più difficili averla. Ma poi siamo andati a trovarla a Firenze, dove lei incontrava Bocelli e l’abbiamo portata in treno a Roma. In quel percorso abbiamo definito il tutto miracolosamente.E il giorno dopo la Stone era sul set con oltre 200 fotografi, creando non pochi problemi. Oggi ci lavorerei di nuovo ma in modo diverso, cioè evitando alcune cose”
E Antonio Avati che produce: “L’abbiamo incontrata a Firenze sul binario sbagliato rispetto a quello in cui ci dovevamo vedere e seduta su una valigia. Nessuna l’aveva riconosciuta. Poi sul treno, in mezzo a coccole e pasticcini, ha cominciato a sentirsi Sharon Stone. Poi l’abbiamo portata all’Hassler e da quel momento l’atteggiamento remissivo di un’attrice in fondo un po’ in declino è cambiato e i capricci sono aumentati. Sino all’ultimo giorno, all’ultima scena, quando lei si è accorta che c’erano molti fotografi ed è sparita. Poi ci ha chiamato il suo agente da Los Angeles per dirmi che lei non sarebbe tornata sul set se non allontanavamo tutti i fotografi e lei stava a un passo da noi. Ma invece di parlare con noi, ci ha fatto parlare col suo agente. Abbiamo allontanato i fotografi e lei è tornata sul set ad essere carina. Un’altra persona. Trovo che il suo sia stato un atteggiamento bipolare”.
Ma, ammette la Capotondi, “il divertimento che io ho provato nel vedere l’industria hollywoodiana, rappresentata da Sharon Stone, incrociarsi con l’industria nostrana degli Avati è stato irresistibile. Lo rifarei subito. E devo dire che dalla Stone ho imparato come si gestisce la propria bellezza. La bellezza è un dono di natura ma saperla usare no. Credo che lei sia una donna di grande intelligenza e che sa come gestire la sua seduttività”. Mentre per Giovanna Ralli è stata più semplicemente “un’emozione nuova , un po’ come se lui ci avesse messi sotto una lente di ingrandimento”. Invece si è commosso Raphael Gualazzi che qui firma la sua prima colonna sonora e che Avati ritiene un grande attore e non solo un musicista: “Mi sono commosso quando ho letto la prima volta la sceneggiatura e da subito mi sono accorto che condividevamo con Avati dei gusti musicali. E infatti nella musica di questo film nulla è stato lasciato al caso, neppure un dettaglio.Tutto serviva per creare atmosfere precise”.
|