Una casa prigione piena di libri e vincoli sociali, un destino al quale provare a sfuggire e una rivoluzione da compiere (“Odio questa vile prudenza” dice Germano nella scena più bella del film che si trasforma in una sorta di processo al progresso). La storia di Giacomo Leopardi portata sullo schermo da Mario Martone ne Il giovane favoloso (ultimo film italiano in concorso del terzetto in gara) è quella di un’anima a metà, alle prese con erudizione e letteratura eppure alla ricerca di una libertà interiore che si fa col passare degli anni ricerca affannosa di pura condivisione di spirito. Quattro anni dopo il magnifico Noi credevamo, il regista napoletano continua a percorrere i sentieri della Storia nel tentativo, qui solo in parte riuscito, di riportare alla luce e far rivivere pezzi del nostro passato da rileggere con gli occhi del presente.
Costruendo il film (sceneggiatura a quattro mani firmata con Ippolita di Majo) sugli scritti di Leopardi (le poesie, lo Zibaldone, le Operette morali e l’insieme del suo epistolario) Martone elabora una sorta di biografia in soggettiva che mette sempre al centro la parola più che l’immagine. Ed ecco la giovinezza a Recanati con le giornate intere dedicate allo studio ‘matto e disperatissimo’ nella biblioteca paterna (nei panni del genitore reazionario c’è l’ottimo Massimo Popolizio), le corrispondenze giovanili col classicista Pietro Giordani (Valerio Binasco) che lo spingerà alla fuga, la grande amicizia con il compagno della vita Antonio Ranieri (Michele Riondino), gli incontri con gli intellettuali del tempo, l’incontro con Fanny Targioni-Tozzetti (Anna Mouglalis), la donna per la quale si accese di passione senza essere ricambiato e la scoperta di una Napoli vivida e brulicante.
Fino allo scoppio del colera e alla composizione de La ginestra, ovvero il suo testamento poetico, nel quale si fondono in un unico flusso l’esperienza umana, la storia, la natura ed il cosmo. Interpretato da un magnifico e dolente Elio Germano capace di regalare sguardi trasognati, scatti fulminei ed espressioni stupefatte dietro la metamorfosi fisica che caratterizza il personaggio, Il giovane favoloso parte bene per smarrirsi nella seconda parte che stenta a rianimarsi sotto i colpi di una teatralità sin troppo esplicita. Contemplativo, dilatato e tormentato (“Il vero consiste nel dubbio”), il film di Martone cerca di ‘smitizzare’ il suo protagonista riportandolo ad altezza d’uomo ma senza il supporto di una regia capace di conciliare immagini e poesia e di supportare con originalità quel fardello di parole ingombranti.
Ed anche se la scelta è quella di tralasciare i versi sin troppo intimi e popolari (non c’è A Silvia) privilegiando il versante filosofico e metafisico, il risultato è una sorta d’inerzia visiva che sembra riflettere lo stato d’animo del suo protagonista. Perché, come si accenna in una bella scena, tradurre e comporre non sono la stessa cosa e se il primo esercizio è un fatto puramente tecnico, il secondo è tutta questione di stile e sentimento. Da ammirare la cura degli ambienti e la bella colonna sonora firmata Sascha Ring che mette insieme elettronica e Rossini. Nelle sale dal 16 ottobre con 01 DISTRIBUTION
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