Dimenticate case stregate ed esorcismi. Arriva dal norvegese André Øvredal, al suo debutto cinematografico in lingua inglese, Autopsy, horror claustrofobico tutto ambientato in un obitorio e affidato a tre personaggi, due vivi e un morto (o forse no…). Bella idea: ogni corpo nasconde un segreto e attraverso un’accuratissima autopsia il medico legale Tommy Tilden (Brian Cox) e il figlio Austin (Emile Hirsh) cercano di scoprire le cause della morte di una donna sconosciuta ritrovata in un seminterrato dopo un misterioso pluriomicidio.
Perché il corpo del cadavere è perfettamente conservato all’esterno mentre l’interno è stato smembrato ed evidenzia cicatrici e bruciature? Perché quella donna continua a perdere sangue e trabocca enigmi ad ogni incisione della pelle? Come in una matrioska cinematografica di grande resa visiva, il film di Øvredal strizza l’occhio alle atmosfere macabre e sinistre del Seven di Fincher in un sottile gioco di indizi e allucinazioni che rimanda a rese dei conti familiari.
Tra lingue recise e narici sanguinanti dalle quali fuoriescono mosche (una sequenza che sembra girata dal primo Cronenbeg), specchi convessi e stazioni radio che cambiano improvvisamente frequenza, tracce di torba sotto le unghie e una tempesta in arrivo, pezzi di stoffa vergati in papiro antico e campanellini legati alle caviglie dei morti (se li sentirete tintinnare meglio prepararsi al peggio…), Autopsy si muove all’interno dell’obitorio utilizzando celle frigorifere e condotti d’aereazione come passaggi verso la scomoda verità.
Analitico e rituale, raccapricciante ed originale, questo horror teso e ben interpretato regala sussulti e tiene desta l’attenzione dello spettatore senza sfruttare il macabro ma utilizzandolo come elemento narrativo di un lavoro che diventa pericolosa routine fino a quando la scienza regala spiegazioni plausibili. Morale: col soprannaturale non si scherza… Nelle sale dall’8 marzo distribuito da M2 Pictures
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