Un gruppetto di giovani sboccati ed arroganti entra in un negozio di abbigliamento e al momento di pagare fugge con la merce rubata. Uno di loro è Christian Ferro (Andrea Carpenzano), un ventenne talentuoso che gioca con la Roma in serie A e si crede onnipotente.
Ma stavolta, dopo l’ultima bravata, anche il presidente del club (Massimo Popolizio) dice basta e decide che è arrivato il momento di metterlo in riga- sfidando i tifosi- attraverso lo studio e la disciplina. Per continuare a giocare e a guadagnarsi il lauto stipendio da 3 milioni l’anno dovrà superare l’esame di maturità e seguire le lezioni di un professore disilluso (Stefano Accorsi) in esilio volontario dal mondo.
Al suo debutto alla regia Leonardo D’Agostini sceglie il calcio per raccontare un bel romanzo di formazione in chiave di commedia attraverso le storie allo specchio di due personaggi agli antipodi per cultura e stili di vita. Ricco, viziato e allergico a ogni regola il giovane campione; solitario, malinconico e senza prospettive l’insegnante, eccoli costretti a condividere un percorso di conoscenza reciproca dal quale ognuno ne uscirà cambiato.
Tra rabbia repressa e tattiche di gioco e di studio alla lavagna (col modulo 4-2-3-1 che diventa una lezione sulla prima guerra mondiale), corse in Lamborghini e paura della solitudine, maialini in villa e murales sfregiati, dolorose confessioni e una corte dei miracoli interessata soltanto ai guadagni del calciatore (la parte migliore del film), Il campione compie un vero e proprio miracolo italiano: riuscire a parlare con credibilità di calcio al cinema. Impresa sinora riuscita a pochissimi (l’esempio migliore rimane Ultimo minuto di Pupi Avati) e alla quale contribuiscono stavolta anche le belle sequenze dal campo di gioco in un riuscito mix tra immagini di repertorio e computer grafica.
Come si gestisce un talento? Bisogna assecondarne o no gli eccessi? Domande che riportano in luce un calcio antico fatto di disciplina, etica e cultura sportiva messo a confronto col culto dell’immagine e della popolarità da social dell’era moderna. Quella nella quale si passa in un amen da Dio a mercenario e nella quale, forse, cambiare squadra e città è un obbligo più che una scelta.
Scritto da Giulia Steigerwalt e prodotto da Matteo Rovere e Sydney Sibilia, il film di D’Agostini (girato a Trigoria, nel centro sportivo dove si allena l’As Roma) è un ottimo esempio di cinema sportivo declinato tra pubblico e privato (brava anche Ludovica Martino nei panni della ragazza di periferia che in gioventù aveva conosciuto Ferro) che sorvola su qualche particolare (lo spogliatoio e i rapporti coi compagni di squadra sono pressoché assenti) e scivola soltanto in un finale sin troppo accomodante e moraleggiante.
Non sarà Ogni maledetta domenica di Oliver Stone ma Il campione insegna ad ascoltare e parlare la lingua del rispetto. Una sorta di Scialla! ambientato nel mondo del calcio che diverte e fa riflettere su sport e vita.
In sala dal 18 aprile distribuito da 01