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mercoledì 20 marzo 2013
di Claudio Fontanini
Gli amanti passeggeri
Pedro Almodovar torna al cinema delle origini ma questo film si rivela un fallimento artistico

C’era una volta Pedro Almodovar. Se La pelle che abito - il pasticciato horror melodrammatico di due anni fa - era stato l’indizio, Gli amanti passeggeri è la prova. E pensare che questo noioso e inerte tentativo di ritorno al cinema delle origini è stato il suo maggior incasso di sempre nel primo week end di programmazione (uscito lo scorso 8 marzo il film ha totalizzato 1.930.000 euro per 250.000 spettatori). Un aereo destinato a Città del Messico e popolato da un gruppo di variopinti passeggeri è costretto a sorvolare Toledo in una zona di transito e destinazione riservata ai velivoli in attesa di una pista per un atterraggio d’emergenza.

Tra la vita e la morte, in attesa di conoscere il proprio destino, ecco scatenarsi a bordo, complici fiumi d’alcool e mescaline sintetiche, gli istinti repressi di un equipaggio che ricorda più quello de L’aereo più pazzo del mondo che quello di una commedia d’autore. Ed ecco una coppia di novelli sposi sfiniti dai bagordi della festa di nozze; un finanziere senza scrupoli che pensa alla figlia dominatrix, un dongiovanni impenitente diviso tra due donne, una vergine veggente, una regina della cronaca rosa e un baffuto messicano che nasconde un segreto. E poi un pilota bisessuale e gli assistenti di volo omo che daranno vita ad un vero e proprio balletto musicale sulle note di I’m so excited delle Pointer Sisters.

Del vecchio ed esplosivo Almodovar tutto colori e irriverenza sono rimasti però soltanto i bei titoli di testa che aprono la strada ad un sorta di esilissima e sgangherata auto parodia filmica. Irrealista, sboccato (“Sento odore di morte, pensavo fossero le scorregge” dice ad un certo punto la sensitiva Lola Duenas in uno dei punti più bassi del film) e libertino, Gli amanti passeggeri si rivela un noioso ed esangue viaggio alla ricerca dell’ispirazione. Come quell’aereo che gira in tondo a 5000 metri d’altezza, il regista di Donne sull’orlo di una crisi di nervi e Tutto su mia madre insegue disperatamente un’idea originale nel tentativo di dare corpo, anima e spessore a personaggi macchietta.

Non basta la cornice insomma se manca il dipinto e così tra bicchieri di tequila e dissertazioni sugli organi sessuali maschili, rilassanti muscolari per sindromi da classe turistica e indovine in cerca di cadaveri, telefoni che cadono dall’alto (nella scena più bella del film un cellulare scivola dalle mani di una donna suicida su un cornicione di un palazzo finendo nel cestino della bicicletta della rivale innamorata dello stesso uomo) e apparizioni lampo (Penelope Cruz e Antonio Banderas con doppiaggio in stile Gatto Silvestro nel prologo) vengono alla mente come fantasmi la carnalità e lo spessore dei vecchi personaggi che hanno popolato la filmografia di questo geniale artista iconoclasta. Il modello era la commedia screwball americana anni ’30 e ’40 (Almodovar dixit) ma la prima volta in digitale del regista spagnolo è un vero e proprio fallimento artistico.

Nelle sale dal 21 marzo distribuito da Warner Bros.


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http://www.warnerbros.it

 
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