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martedì 18 novembre 2008
di Agostino Spataro
Il Montalbano conteso
Lo psicodramma tutto siculo della “politica spettacolo” intorno al celebre commissario di Camilleri
Ancora ascolti elevati (8,2 milioni di spettatori) per l’ultimo episodio inedito della serie italiana "Il commissario Montalbano” con Luca Zingaretti. Rai soddisfatta e pubblico anche. Un successo indiscutibile che, oltre a confermare il ‘fenomeno Camilleri’, dovrebbe far riflettere sui perché, in questa fase di grave smarrimento, la gente s’incolli al televisore per vedere in azione un ‘eroe’ che, seppure in solitudine, continua a combattere in Sicilia, contro il connubio tra poteri forti e malaffare che va ben oltre il classico binomio mafia-politica.

Ancora ascolti elevati (8,2 milioni di spettatori) per il quarto ed ultimo episodio inedito della serie italiana Il commissario Montalbano con Luca Zingaretti. Rai soddisfatta e pubblico anche.
Un successo indiscutibile che, oltre a confermare il ‘fenomeno Camilleri’, dovrebbe far riflettere sui perché, in questa fase di grave smarrimento, la gente s’incolli al televisore per vedere in azione un ‘eroe’ che, seppure in solitudine, continua a combattere in Sicilia, contro il connubio tra poteri forti e malaffare che - come si è visto nella prima puntata - va ben oltre il classico binomio mafia-politica.
Quando, però, dalla fiction si torna alla realtà in molti subentra la delusione per una classe dirigente che offre di sé uno spettacolo indecente: dalla parentopoli diffusa a leggi e leggine bipartisan per stabilizzare precari più fortunati di altri, dall’acqua che non arriva nelle case ai liquami che appestano orti e giardini, dai convegni pretenziosi ai premi di ogni tipo che bruciano milioni di denaro pubblico per alimentare gli appetiti di cinguettanti vanità. E qui mi fermo, perché mi preme evidenziare un aspetto connesso alla fiction televisiva, quasi del tutto ignorato dalle cronache e dai commenti.

L’appropriazione indebita del commissario
Si tratta di una sorta di psicodramma latente in tanti cittadini di Porto Empedocle, Agrigento e dei dintorni, dovuto alla trasposizione, per esigenze di scenografia, dei luoghi di Montalbano da quelli naturali dell’agrigentino (immaginati dall’empedoclino Andrea Camilleri) a quelli elettivi del ragusano.
Un turbamento diffuso che cova, silente, nell’intimo di ciascuno e che si ridesta ogni qual volta viene riproposta la miniserie televisiva del celebre commissario.
Mi spiego. Nei vari romanzi, Montalbano è in servizio al commissariato di Vigàta, alias Porto Empedocle; ha casa e fa il bagno a Marinella, nota spiaggia empedoclina, dipende dalla questura di Montelusa, alias Agrigento, si sposta con la sua Fiat Punto nelle zone dei vari delitti di sua pertinenza da Gallotta (Giardina Gallotti) a Montaperto e talvolta si spinge fino a Fiacca, alias Sciacca.
Nelle fiction, invece, questi luoghi si trovano in provincia di Ragusa: il commissariato a Scicli, l’abitazione del commissario a Punta Secca, la questura a Ragusa-Ibla e via di questo passo. 
Il discorso vale anche per i cognomi dei personaggi: Picarella, Catanzaro, Catarella, Luparello, lo stesso Montalbano. Non so come Camilleri li abbia scelti, ma quelli citati non ce li vedo proprio in provincia di Ragusa.
A parte i riferimenti topografici e le rivendicazioni campaniliste, c’è da rilevare che tale trapianto comporta un certo valore aggiunto in favore dei centri del ragusano toccati dalla fiction i quali abilmente la sfruttano per vendere i ‘luoghi di Montalbano’ sui mercati turistici italiani ed esteri. 
Tutto ciò brucia, soprattutto ad Agrigento dove, lo scorso anno, si è riusciti a perdere il 20% delle sue già grame presenze. Il verbo ‘riuscire’ è appropriato, poiché ci vuole davvero una certa abilità per far perdere quote importanti di turisti ad una città che possiede un mare incantevole e uno dei più importanti patrimoni archeologici del pianeta.
Da qui nasce il disagio che, certo, non può essere risolto con un rivendicazionismo generico e perdente.
Molti hanno gridato allo scandalo dell’appropriazione indebita da parte degli iblei. Per poco non scoppiava una nuova guerra tra siculi e sicani. Ma nessuno si è mai seriamente, e pubblicamente, chiesto i motivi che hanno indotto la produzione ad optare per i siti della provincia di Ragusa.

Una statua per Luca Zingaretti
Nemmeno gli amministratori di Porto Empedocle i quali, per affermare una sorta di diritto esclusivo, hanno deciso di aggiungere al nome del sommo filosofo quello più spettacoloso di Vigàta. L’espediente non è servito granché. Tuttavia, il sindaco della cittadina marinara, Cologero Firetto dell’Udc, qualche tempo fa è tornato alla carica (vedere tra le News).
Ai ragusani ha rilanciato la sfida tirando fuori una sorta di ‘arma segreta’ ossia “l’incarico - si legge in un’agenzia - conferito ad uno scultore per la realizzazione di una statua, a grandezza naturale, del commissario Salvo Montalbano, eroe positivo, che sarà collocata sul marciapiede del corso principale…affinché rimanga perennemente ‘in servizio’ fra la sua gente”.
E così l’attore romano Luca Zingaretti, sarà effigiato, nel fiore della vita, con una bella statua che fiancheggerà quella del premio Nobel agrigentino, Luigi Pirandello, eretta però a 50 anni dalla morte. Quando la realtà supera la fantasia! Non è un caso se in questa provincia siano nati ben tre importanti scrittori italiani: Pirandello, Sciascia e Camilleri
La statua è un modo, un po’ grottesco, per aggirare il vero problema, per evitare la fastidiosa domanda. Forse, perché si teme che la risposta sarebbe imbarazzante per un’intera classe dirigente che ha favorito lo sfacelo edilizio ed economico della gran parte dei comuni della provincia agrigentina, in primis dei loro centri storici. Montalbano a Ragusa è, infatti, un impietoso atto d’accusa contro politici imbelli e trasformisti e contro stuoli d’imprenditori assistiti che hanno lasciato marcire il centro storico di Agrigento-Montelusa, uno dei più antichi della Sicilia, e liquidato una realtà portuale e industriale come quella di Porto Empedocle- Vigàta.
Oggi, l’unica prospettiva praticabile è ancora l’emigrazione. Decine di migliaia di giovani lavoratori e studenti vanno avanti e indietro per l’Italia, magari incrociando nel loro peregrinare gruppi di clandestini disperati, approdati a Lampedusa e in vari punti della costa agrigentina.
Di nuovo, l’inferno dello sradicamento, della diaspora.
Eppure, qui - come si vede - si continua a governare allegramente. D’altronde i voti si prendono e tanti, anche in città assetate ed economicamente derelitte. Perciò, la festa continua ed i premi abbondano, come quelli che una sedicente accademia si appresta a consegnare nei prossimi giorni.
Nel caso di Agrigento ci sembra, davvero, un rituale abusato e fuori di luogo, per altro lautamente finanziato con contributi pubblici. Ognuno può premiare chi più gli aggrada, ma con fondi propri.
Spero non ce ne vorrà sua eminenza il cardinal Tarcisio Bertone, fra i tre premiati prescelti, che sappiamo verrà ad Agrigento per svolgere la sua alta missione e non certo perché attratto da codeste, costose amenità.

Note:
*
L’autore di questo articolo gentilmente concesso a Cinespettacolo è giornalista, scrive per La Repubblica Sicilia ed è direttore del CESTUMED e della sua emanazione InfoMedi (Informazioni on line dal Mediterraneo) periodico a cura del Centro Studi Mediterranei. Agostino Spataro è stato anche membro della Commissione esteri della Camera dei Deputati ed è componente della presidenza dell’Associazione nazionale di amicizia italo-araba di Roma.

 
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