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sabato 10 settembre 2005
di Silvia Di Paola
Un Leone d’Oro per Miyazaki
“Non chiamatemi il Disney giapponese. Io sono un creatore, e poi non ho mai amato i suoi film”

VENEZIA - E il grande premiato sale sul palco. Accarezza un più che meritato Leone d’Oro alla carriera e manda a dire al mondo: “Non ho messaggi da dare, parlo attraverso i miei film”.
Ma è una via d‘uscita all’emozione perché poi di cose da dire, dentro e oltre i suoi cartoni, il grande Hayao Miyazaki (di cui alla Mostra, dopo la cerimonia di premiazione, è stato presentato il corto On your Mark e il lungo Kaze no tani no Nausihika) ne ha molte, sintetizzate compitamente o tradotte senza giri di parole. Sempre, anche quando giura di “non aver guardato molti film ultimamente, di non possedere neppure un lettore Dvd e di non aver neppure visto l’ultimo cartone di pupazzi in stop motion di Tim Burton” e di non aver letto “né Jung, come molti mi chiedono, né libri di psicologia, né molti altri cartoni animati perché il fatto che io li realizzi non significa che ne legga molti”.

E sempre quando qualcuno gli fa il nome di Walt Disney e lo addita magari come il Disney giapponese: “Non vedo il punto di unione tra noi. Io sono un creatore, lui era un produttore e i suoi film non somigliano ai miei. Tra l’altro non li ho mai amati e confesso di detestare alcune scene di Biancaneve. Io amo e scelgo personaggi che sono vicini a me, anche se li trasformo un po’ ”.
Di più: ama anche dar loro il primo corpo con carta e penna. Praticamente uno dei pochi a farlo ancora nel mondo. Praticamente un artigiano felice di esserlo: “Non smetterò mai di ripetere che io sono come un artigiano che lavora con carta e matita. Che dalla matita nascono tutti i miei personaggi. Oggi i giovani tentano di creare partendo da ciò che hanno visto attraverso la lente dei videogiochi o della tv. Io vorrei dire loro: disegnate ciò che vedete solo con i vostri occhi e nella realtà. Certo, è giusto utilizzare ciò che la tecnologia offre ma a patto che non si uccida la fantasia, ciò che distingue un fumetto, un film, da un videogioco. Io prima disegno a mano poi viene la traduzione in digitale, mentre non smetto mai di seguire la lavorazione, in ogni dettaglio”.

Insomma ne ha di cose da dire il controllato maestro. Ne ha quando guarda al suo futuro “in cui vorrei fare tanti piccoli film corti perché i film lunghi sono come pasti completi, con antipasto, primo, secondo, dessert mentre i corti sono come delle merendine, dei bicchierini, più leggeri. Ma i film lunghi mi fanno guadagnare di più, quindi continuo a farli. Però adesso ho in programma tre corti che vorrei realizzare. E le donne, esseri umani dal grande fascino e sempre un grande segreto per me saranno ancora protagoniste”.
Ma, ha ragione, i suoi cartoni parlano molto di più. Dicono tutto quello che lui non dice. Tutto con le immagini. Come quelle straordinarie della sua storia di iniziazione e di guerra e pace che da oggi, col suo Il Castello errante di Howl, ispirato all’omonimo romanzo di Diana Wynne Jones (appena edito in Italia da KappaEdizioni), saranno nelle nostre sale distribuito da Lucky Red.

Il resto è festa. E non solo per lui e per la nostra Stefania Sandrelli, anche lei Leone alla carriera, che la statuetta la prenderà tra le mani stasera, durante la serata di premiazione. Ma anche per gli altri premiati delle sezioni parallele, cominciando dall’italiano vincitore della Settimana della Critica. Massimo Andrei, con un film non facile come Mater Natura, affollato da travestiti veri e falsi, trasgressivo e indipendente, costato 350mila euro, premiato dal pubblico e già con un distributore, l’Istituto Luce, che lo manderà nelle sale dopo Natale. E continuando con il Leoncino d’Oro Agiscuola, assegnato al film di Park Chan-wook, Sympathy for Lady Vengeance, con la segnalazione Cinema for Unicef assegnata a La Bestia nel cuore di Cristina Comencini e al Future Film Festival Digital Award assegnato a La sposa cadavere di Tim Burton e Mike Johnson.

Anche così il festival comincia a chiudere i battenti con un bilancio assolutamente positivo almeno sul piano organizzativo, quello per cui era stato impallinato lo scorso anno, primo della gestione Muller. E chiuderà nella stessa sobria maniera con cui si è aperto. Con una cerimonia che il direttore promette sobria e veloce, anche se inevitabilmente diversa e (per ovvie ragioni) più sofferta di quella inaugurale. Ancora con la stessa madrina, la Ines Sastre, ritornata in laguna in questa giornata di tempesta, con allegamenti e danni qua e là, che ha il compito di condurre con la stessa semplicità dell’apertura, sempre nella Sala Grande del Palazzo del Cinema e sotto le telecamere di Rai Sat.

 
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