Tre donne contro l’oppressione patriarcale e l’universo maschile. Una (Sanda Codreanu) è una scrittrice utopica e sognatrice al suo primo romanzo (Preferisco sbagliare con una mia idea piuttosto che avere ragione con quelle degli altri), un’altra (Souhueila Yacoub) è una cam girl sfrenata e senza complessi (Mi piace quello che faccio), la terza (Noémie Merlant) è un’attrice ansiosa e insicura, soffocata come la Marylin Monroe che sta interpretando in una fiction e in crisi coniugale.
In una torrida estate marsigliese si ritrovano a convivere sotto lo stesso tetto nel nome della sorellanza fino a quando, dopo l’invito serale a bere un drink del fascinoso fotografo che spiano con voluttà dal balcone di fronte, c’è da nascondere un cadavere e capire cosa sia realmente accaduto.
Delirio femminista e farsa punk, Le donne al balcone, seconda regia di Noémie Merlant che scrive in collaborazione con Céline Sciamma, inizia come una commedia colorata e sfrenata alla Almodovar e finisce dritta in un horror tarantiniano che non ha paura del politicamente scorretto e delle volgarità (si vedono un organo maschile evirato e congelato e una masturbazione sui braccioli di una poltrona tra nudità liberatorie e voglia di perdita di controllo).
Vendetta tremenda vendetta. Con queste tre donne in cerca di libertà che nella seconda parte del film (la meno convincente) vanno a caccia di maschi brutti, sporchi e cattivi per rivendicare il loro ruolo nella società.
Spunto autobiografico (quattro anni fa la regista visse in coabitazione con Sandra Codreanu e le sue sorelle), l’eccesso come manifesto stilistico e la saturazione come rischio, Le donne al balcone- presentato a Cannes 2024 alla Seance de minut e alla Festa del cinema di Roma nella sezione Best Of- è un’opera traboccante e rocambolesca (una sorta di Notte da leoni al femminile) che miscela generi e messaggi tra fantastico e cruento.
Traumi e desideri, musica jazz e un cane di nome Brad (indovinate in onore di chi?), sciamani e profumo di basilico, peti, svenimenti e uno stupro coniugale che vale il film.
Ritmo indiavolato e macchina da presa che si muove senza soluzione di continuità per ricordarci cosa sono le donne. Ma al film della Merlant mancano misura e respiro (ai titoli di coda si prova una vera e propria liberazione per il senso di soffocamento provocato dallo stile visivo) e quei maschi ingombranti sembrano paradossalmente più vittime che colpevoli.
In sala dal 20 marzo distribuito da Officine Ubu