Barconi carichi d’immigrati clandestini, sbarchi e naufragi, la conta dei morti come numeri da dare in pasto all’opinione pubblica. Chi avesse ancora dei dubbi sulla potenza del mezzo cinematografico messo a confronto con le immagini senz’anima dei tg dia un’occhiata a Io Capitano, il nuovo capolavoro di Matteo Garrone per la prima volta in concorso alla Mostra del Cinema di Venezia.
Potente, lirico ed epico, il nono lungometraggio del regista romano incrocia Gomorra e Pinocchio, fiaba e realtà in una moderna Odissea che punta la macchina da presa dall’altra parte della facciata in una sorta di controcampo visivo: quello dei migranti, ripreso in una lunga soggettiva che ne delinea sogni e desideri, sensi di colpa, orrore e disperazione.
Alla larga dal film a tesi o, piuttosto, politico, Garrone usa opportunamente il linguaggio del cinema narrativo miscelando a meraviglia le storie di vita vissuta di un cast composto in larga parte da persone che hanno realmente vissuto ciò che viene portato in scena.
Ed ecco due cugini 16enni, Seydou (Seydou Sarr) e Moussa (Moustapha Fall) in fuga da Dakar, in Senegal, verso la speranza di una vita migliore. Coi risparmi di 6 mesi di lavoro e all’insaputa della madre di Seydou; col favore degli antenati (lo stregone locale gli impone di visitare il cimitero per ascoltare le anime dei morti, scena magnifica) e con un passaporto acquistato a 100 dollari che li trasforma in cittadini del Mali, inizia un vero e proprio racconto di formazione (i ruoli e le psicologie dei due cugini si rovesceranno a metà film) e di ricerca della felicità a tutti i costi che lo sguardo di Garrone trasforma in patrimonio culturale.
Le fatiche mortali del deserto (coi cadaveri che segnano il cammino) e le torture dei campi di detenzione libici (quasi insostenibile la sequenza nella quale si chiede ai prigionieri il numero di telefono di casa per il riscatto economico pena l’uccisione), le acque del Mediterraneo e un giovane Capitano, nominato per caso e che non sa nuotare, sulla rotta della terra promessa (quella piattaforma petrolifera illuminata di notte e scambiata per un porto italiano è tra le più belle dell’intera filmografia di Garrone).
Disperato e carico di umanità (quel nuovo padre incontrato da Seydou durante la prigionia e che gli salva la vita grazie alla costruzione di una fontana al centro di una lussuosa villa libica), privo di retorica e scene madri e contrappuntato da un magnifica colonna sonora evocativa (lode alle musiche di Andrea Farri), Io Capitano- scritto da Garrone con Massimo Ceccherini, Massimo Gaudioso e Andrea Tagliaferri con la decisiva collaborazione di numerosi africani- sembra una sorta di ritorno al futuro per il regista che iniziò la carriera, nel 1996, con Terra di mezzo, triplice storia di migrazioni confluite nelle strade di Roma.
Stavolta l’autore di Reality, che torna a grandissimi livelli artistici dopo la versione sbiadita del Pinocchio del 2019, riesce nell’impresa di filmare l’invisibile, di portare alla luce i pensieri e i tormenti di una generazione di giovani africani disposti a morire pur di provare a scoprire il mondo. Come è concesso a chi vive in Europa.
Nota di merito per la distribuzione che ha deciso di non doppiare il film (girato in lingua wolof nella prima parte) e sottotitolarlo anche per il grande pubblico. Imperdibile e da far vedere nelle scuole.
In sala dal 7 settembre distribuito da 01