Una scalata al potere col corpo e la seduzione femminile come lasciapassare. Film di apertura (fuori concorso) dell’ultimo Festival di Cannes, Jeanne du Barry, diretto e interpretato da Maïwenn, strizza l’occhio al Barry Lindon di Kubrick (almeno per assonanze linguistiche) finendo tra le braccia di un romanzetto rosa dal quale sono escluse psicologie e contesto storico.
Costato 20 milioni di euro (confezione impeccabile e pellicola 35mm.) e sesto lungometraggio- il primo in costume- della regista di Polisse e Mon Roi, il film segna il rientro in grande stile sullo schermo dopo le note vicende giudiziarie di un Johnny Depp più caricaturale che realistico nei panni di un Luigi XV taciturno e imploso.
Da figlia illegittima di un monaco e di una cuoca a cortigiana e favorita del Re, va in scena la trasformazione, fisica e intellettuale, della popolana Jeanne Vaubernier (la parte iniziale, quella senza Maiwenn, è la migliore) che attraverso il suo amante (il conte du Barry) e la successiva presentazione al Re- complice l’interessato duca di Richelieu- farà il suo ingresso trionfale a Versailles tra scandali e passione travolgente col sovrano che ha appena perso la moglie.
Appassionatasi al personaggio storico di Jeanne dopo averlo visto interpretato sullo schermo da Asia Argento in Marie Antoinette (2006) di Sofia Coppola, Maïwenn si concede qualche libertà storica di troppo, sequenze satiriche (il saluto all’indietro al Re per non dargli mai le spalle, il risveglio affollato del sovrano tra trucco, parrucco e saluto ai familiari visto allo specchio da Jeanne) e punta tutto sull’emancipazione femminile e sul potere della parola in una storia di pregiudizi e proscrizioni, imposizioni e ruoli sociali, educazione letteraria e voglia di libertà.
Con le altre donne della corte- capeggiate dalle tre figlie di Luigi XV- che fanno la guerra a questa magnifica perdente che intanto segue i consigli dell’alleato e primo valletto del Re a corte (l’ottimo Benjamin Lavernhe nei panni di questo personaggio totalmente inventato dalla sceneggitura) e si diverte a sciogliere i capelli e vestire abiti maschili per far capire a quella folla di parrucconi che il mondo là fuori sta cambiando.
Come scoprirà a proprie spese nell’amaro finale- didascalico e rappresentativo- dalla voce fuori capo del narratore di questa favola troppo superficiale e decorativa per emozionare davvero. Insomma bella la cornice ma il quadro- ovvero la complessità e la tragicità del personaggio- dov’è?
In sala dal 30 agosto distribuito da Notorios Pictures