Studia e dà una mano nel negozio di macelleria di famiglia in un paesino dell’Estremadura. E’ grassa, non ha amiche e vive con le inseparabili cuffiette attaccate alle orecchie. L’adolescente Sara (la magnifica Laura Galàn) è l’incompresa protagonista di Piggy, inquietante horror psicologico iberico firmato da Carlota Pereda.
Dolorosa storia di bullismo e incomprensione generazionale, il film, girato in 4:3 e presentato al Sundance e alla Festa di Roma (Alice nella Città), mette in scena il corpo obeso e nudo di Sara come manifesto delle angherie e della spietata cattiveria delle sue compagne, tutta forma e bellezza da esibire, che si trasforma in una spietata nemesi sanguinaria dove il sangue fa rima con sentimento.
Un’assolata giornata estiva in piscina, Piggy che tenta di bagnarsi di nascosto e le sue coetanee che la scoprono e vogliono annegarla, così tanto per passare il tempo e punire chi non è come loro. Ripescata con un retino come una balena e costretta a tornare a casa a piedi e senza vestiti, incrocerà sulla sua strada un misterioso angelo vendicatore (in realtà un serial killer) che ne prende le difese e rapisce le sue nemiche.
Inizia da qui un horror teso e senza sconti (gli stomaci deboli stiano alla larga) che racconta l’emancipazione di Piggy attraverso la presa di coscienza e l’affermazione di un’altra se stessa a lungo repressa.
Da vittima a carnefice tra genitori distratti e masturbazioni notturne (amore e orrore si danno la mano), tori in fuga e nazionalismo (Tutto per la patria campeggia davanti alle caserme della Guardia civile), innocenza perduta e sentimenti nascosti.
Con la Pereda (autrice anche della sceneggiatura) che oscilla tra il Carrie di De Palma, la Misery di Rob Reiner e Non aprite quella porta di Hooper in un esordio che lascia il segno. Finale a tinte forti con la luce che arriva finalmente a rischiarare l’orizzonte cupo di questo viaggio nella trasformazione interiore.
In sala dal 20 luglio distribuito da I Wonder Pictures