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venerdì 16 marzo 2012
di Silvia Di Paola
Kiefer Sutherland e la paternità
"Essere padre mi ha salvato da molte cose" spiega l’attore che torna sul piccolo schermo con "Touch"

Kiefer a nome di tutti i padri del mondo. Kiefer Sutherland che, dopo lo stremante 24 torna sul piccolo schermo nei panni di un padre carico di dolore. Un po’ per caso, un po’ per folgorazione: “Proprio non pensavo di tornare così presto. 24 mi aveva messo a terra. Poi è arrivato lo script di Touch e io ho risposto che non se ne parlava proprio. “Almeno leggilo” mi ha detto il produttore. L’ho fatto ed eccomi qui, era tutta un’altra storia rispetto a 24 che mi aveva stremato proprio perchè mi costringeva a tenermi dentro tutta la mia emotività. Touch mi permette di fare il contrario, di dar sfogo ai miei sentimenti, anzi mi ha straziato il cuore la storia di questo padre che non può toccare suo figlio, cioè che non riesce a gestire suo figlio autistico".

"Ho avuto la possibilità di mettere tutta la mia emotività al servizio della storia perchè qui c’era tutto, il rapporto padre-figlio, l´idea un po´ magica che i numeri ci guidino, il senso del destino, la spiritualità  e qui si intrecciano diversi piani, scienza e spiritualità più la speranza che noi si sia tutti connessi e si arriva all’idea di un possibile filo invisibile che guida le nostre vite destinate ad avere impatto dirompente sugli altri” prosegue l’attore.

Che significa?Che siamo in connessione con persone lontanissime da noi e non ci curiamo di chi ci sta accanto. Di questo si parla nella serie, oltre che del rapporto padre-figlio. Quando Martin scopre delle strane doti di Jake, lo mette in contatto con il professor Arthur Dewitt, interpretato da Danny Glover, un esperto di casi simili. Ma toccherà solo al padre scoprire in che modo questi misteriosi numeri influenzino le vite di persone a lui vicine”.

Partono da qui i tredici episodi commissionati da 20th Century Fox Television a Tim Kring, (creatore di Heroes), la regia del pilot affidata a Francis Lawrence, trasmessa negli States il 25 gennaio e vista da 12 milioni di spettatori, tra i produttori esecutivi lo stesso Sutherland che inizialmente di buttarsi in una nuova serie proprio non ne voleva sapere, e che oggi dice: “Speriamo che si arrivi all’ottava edizione”. Non solo. Come produttore esecutivo si è dato davvero molto da fare: “Per un anno ho lavorato assieme agli autori sulla sceneggiatura, ho studiato casi di autismo simili a quello raccontato nel film e ho contribuito alla scelta della colonna sonora che in parte ho composto”.

Lo vedremo dal 20 marzo su Fox (Sky 111 alle h 21,50) in contemporanea mondiale in 64 paesi. nei panni di un giornalista rimasto vedovo (la moglie è morta l’11 settembre) con un ragazzino di 11 anni che nella sua vita non ha detto una parola e che non sopporta di essere toccato, comunica solo  scrivendo incessantemente serie di numeri su un quaderno. Grazie all’aiuto del professor Arthur DeWitt (Danny Glover) e dell’assistente sociale Clea Hopkins (Gugu Mbatha-Raw), Martin scopre che suo figlio non si limita a scrivere dei semplici numeri su un quaderno, ma è in grado di prevedere eventi futuri grazie all’analisi di complessi schemi numerici.

E, insomma, non è cosa da poco per Sutherland il passaggio da Jack Bauer a Martin: “Tanto Jack Bauer era muscolare quanto Martin è riflessivo ma spinto dalla disperazione. Diciamo che non si può paragonare Touch a 24 ma i protagonisti hanno molto in comune: combattono per le cose in cui credono e hanno un grande senso della giustizia”.

Ma come padre nella vita reale come crede di essere Kiefer Sutherland?
La paternità mi ha salvato da molte cose. Ho avuto la fortuna di accompagnare a scuola mia figlia, di poterle leggere un libro prima di addormentarla, di vederla crescere. Per questo ho pensato alla fatica che fa quest´uomo che interpreto a stare accanto al bambino con cui non riesce a comunicare, che non vuole essere toccato. In fondo non finisci mai di essere genitore, finché muori. Lo dico io che con mio padre, Donald, non ho avuto un rapporto almeno fino a 18 anni. Lo vedevo solo a Natale. Io e la mia sorella gemella siamo cresciuti con mia madre, con cui ho avuto un rapporto straordinario. Mio padre non c´era mai, è stato più difficile. Solo ora che faccio lo stesso lavoro lo capisco meglio”.

 
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