Dopo aver conquistato l’ultimo Festival di Berlino, approda sul piccolo schermo una nuova serie evento - su Sky Atlantic, dal 24 marzo alle 21,10, in dieci episodi (due a puntata) - per rievocare un anno molto particolare nella storia recente del nostro Paese, il 1992, appunto, l’anno di Tangentopoli e Mani Pulite, una miniserie di rilievo internazionale dove, fra realtà e fiction, vengono ricostruiti fatti e personaggi che segnarono la fine della prima Repubblica e la nascita della seconda. Tutto ebbe inizio a Milano il 17 febbraio 1992, appunto, con l’arresto da cui prese il via l’inchiesta capeggiata da Antonio Di Pietro. Scorrono le prime scene, scattano le manette per Mario Chiesa, presidente di un ente comunale di assistenza agli anziani, il Pio Albergo Trivulzio. E’ questa la scintilla che genera il terremoto e l’inizio di Tangentopoli, ma anche la scena con cui si apre la serie.
“Abbiamo parlato per la prima volta con Stefano Accorsi (è sua l’idea ndr.) nel 2011 – esordisce il produttore Lorenzo Mieli per Wildside alla presentazione stampa romana -, del fatto che, dopo quasi vent’anni, ancora quei sconvolgenti fatti non fossero mai stati raccontati al cinema né in televisione”. “Ed è ora che il prodotto televisivo italiano – ribatte il collega Mario Gianani - vada sempre più verso le produzioni internazionali perché abbiamo grossi sistemi e ottimi gruppi di lavoro, come gli sceneggiatori che non hanno niente da invidiare a quelli che scrivono per l’HBO o per Fox. Infatti, abbiamo fatto lavorare gli sceneggiatori sul set, e abbiamo voluto alla regia Giuseppe Gagliardi, che già aveva affiancato Sollima in Gomorra il quale col suo stile ha dato la giusta atmosfera alla ricostruzione dell’anno in cui uscirono i primi, ingombranti, telefoni mobili”.
“L’idea era il desiderio di vedere sullo schermo un periodo della storia italiana non ancora rappresentato – afferma Stefano Accorsi, anche protagonista del serial -, mescolando realtà e finzione degli ultimi vent’anni. La nostra forza è stata il lavoro di gruppo, in tutte le diverse fasi della lavorazione, dall’incontro con Lorenzo, poi con Giuseppe e gli sceneggiatori (Alessandro Fabbri, Ludovica Rampoldi, Stefano Sardo), alla scelta del ‘92 e di tutto il cast. E’ vero, non è stato semplice, ci sono voluti tanti anni perché si avverasi, ma le difficoltà si sono trasformate in stimoli, aumentando l’adrenalina e facendocelo fare al massimo, tant’è che giravamo minutaggi impossibili, ma tutto è stato reso possibile dal gruppo”.
“Dietro c’è un lavoro monumentale di documentazione e interpretazioni politiche – prosegue sulla scrittura -, in quel momento alcune forze politiche sostenevano mani puliti, poi col tempo hanno cominciato a denigrarla, perciò bisognava guardare con un occhio scevro di politica; abbiamo rivisto tutto quello che si è detto e scritto (libri, giornali, telegiornali, incontri dei protagonisti del periodo). Se pensiamo che allora c’è stata la prima vera grande inchiesta contro il mondo politico e la corruzione, oggi, forse, capiamo che tutto viene dato per scontato, però nel 1992 ci aveva dato una speranza enorme, era questa la novità dell’inchiesta. Decidere di raccontare chi ha fatto l’Italia degli ultimi vent’anni non era facile. Io guardo film di qualunque contesto per capire che filtro viene messo, è bello per chi scrive, recita o soltanto guarda entrare nella storia da un’altra parte, da un altro punto di vista”.
“Poi succedono altre cose nell’arco della serie – precisa sul suo ruolo -, questa prima parte è stata scritta in questo modo, ma i personaggi hanno un’evoluzione, la storia viene spesso dal loro vissuto, devono succedere ancora molte cose, da qui la grande ambiguità di Leonardo Notte (il suo personaggio, un pubblicitario dall’enigmatico passato ndr.). Spesso i personaggi, come le persone, sono cattivi poi buoni o viceversa, ognuno nasconde un’ambiguità di fondo che può anche affascinare, ce ne sono tanti, e hanno tanto tanto successo”. “E’ stato straordinario – dichiara il regista Giuseppe Gagliardo -, di solito il regista mette il suo ego al servizio del progetto e poi prende la sua strada, qui invece io ho dovuto lasciarlo fuori e prendere spunto da tutti, dagli attori agli sceneggiatori, è stato davvero sorprendente. Sono contento perché niente è stato dato per scontato, e ho avuto l’occasione di lavorare con un immaginario mai ricreato né raccontato, divertendoci anche, e senza nessun paletto perché la storia si raccontava bene da sola”.
“Per raccontare gli ultimi vent’anni dovevamo restringere il campo – dice Ludovica Rampoldi -, abbiamo scelto l’anno spartiacque tra il crollo della 1° e l’inizio della 2° Repubblica, questo ci ha permesso di lavorare in grande libertà, e al tempo stesso tempo creare personaggi ambigui e sfaccettati, messi di fronte ad eventi difficili, sempre con un rigore filologico laico, per non tradire la storia e poterla romanzare”. “In Italia siamo abituati alla biografia televisiva – ribatte Alessandro Fabbri -, prendo un personaggio come Falcone e faccio un biopic, invece, noi da spettatori sentivamo l’urgenza di inventarci una serie, raccontare la storia italiana attraverso la serialità, il che è molto complesso e più difficile farlo su personaggi reali. Bisogna far conto che non sia stata fatta, stare attenti agli aspetti legali, cercare di non tradire la storia per renderla in modo fedele, e abbiamo lavorato sui personaggi a cui abbiamo dato tutti noi stessi, fregandoci fossero di quel mondo lì o meno, per tirar fuori l’essenza viscerale del paese, un racconto di pancia su quello che era e siamo stati”.
“Volevamo dare la nostra interpretazione di quell’anno che ha offerto delle grandi occasioni, il tema originario, per l’Italia era un momento d’immobilismo quando c’è stato una sorta di terremoto che ha provocato il cambiamento. Ognuno a modo proprio, ha avuto una sensazione interessante, emozionante, perché c’è una specie di cortocircuiti tra ieri e oggi. Quando stavamo per girare la scena in procura, abbiamo sentito la notizia dei vent’anni dalla tragica morte di Falcone, ed eravamo proprio lì a girare la scena il giorno dell’anniversario”. E all’ottimo risultato hanno contribuito anche gli altri attori, che hanno parlato dei loro diversi ruoli. “Il mio personaggio (Beatrice ‘Bibi’ Mainaghi, figlia di un imprenditore senza scrupoli, interpretato da Tommaso Ragni ndr.) lungo la serie ha un cambiamento totale – dice Tea Falco -, da punkabbestia diventa una sorta di Sally Spectra, dopo un fatto importante diventerà, infatti, un’imprenditrice”.
“Veronica Castello è una puttana triste – chiosa Miriam Leone sulla sua parte -, come quelle di Fabrizio De Andrè, la sua bellezza sta sul lato umano, ma non si ferma in periferia ma è una che frequenta i potenti. Anche per lei, quindi, le cose cambieranno, e nella realtà ci molte come lei”. “Sono Rocco Venturi – dice Alessandro Roja - affianco Di Pietro (unico personaggio reale, gli altri vengono nominati o visti in tivù ndr.), deve scegliere chi essere, naviga nella nebbia finché essa diventa terremoto e finalmente decide, ma non sarà facile giudicarlo. I personaggi non hanno un impatto frontale, bisogna aspettare tutta la serie per conoscerli a fondo. Fortunatamente non sono tagliati con l’accetta, somigliano di più agli esseri umani”.
“Il mio è un personaggio di finzione – dichiara Guido Caprino che è Pietro Bosco – non mi sono ispirato a nessuno, ma ad un bisonte perché è uno che viene dal popolo, ingombrante perché non accetta compromessi. Dopo una fase epica incontra la Lega Nord, e diventa un personaggio moderno, e io mi sono sforzato di rispecchiare i chiaroscuri della vita, le tentazioni, le cose più interessanti”. “Anch’io come Rocco sono un poliziotto che lavora per Di Pietro – ribatte Domenico Diele -, legato all’inchiesta, uno dei protagonisti della ‘detective story’, perché indaga anche per se stesso come un vero rompiscatole, e le sue vicende personali (ha contratto l’Hiv a causa del traffico di sangue infetto ndr.) mi hanno permesso di sfaccettarlo, visto che Luca Pastore è un punto abbastanza fermo nella serie”.
“Antonio (Gerardi) ha fatto un suo Di Pietro senza cadere nell’imitazione – dice Sardo -, non c’è un’idealizzazione dei personaggi; sono stati gli eroi dell’epoca, e abbiamo potuto entrare nei corridoi, negli uffici dove gestiva gli interrogatori. Ma non li abbiamo mai idealizzati, casomai ‘cinematografizzati’, perché agiscono in una terra di confine tra reale e finzione, dove tutto si impolvera di cinema, e abbiamo avuto totale libertà nel trattarli. Credo ci voglia una continuità politica di un certo tipo, se certi atteggiamenti vengono legittimati non si guarirà mai, per cambiare ci vuole altro. Il ’92 è stato un anno particolare, l’inchiesta portata avanti nel mondo politico e imprenditoriale ha dato una grande speranza di cambiamento che non era nell’ordine del giorno; ora invece si è creata una certa abitudine, una stanchezza, ma quella sensazione d’indignazione allora era fondamentale”.
E anche Bettino Craxi che apparirà nelle prossime puntate, è interpretato da un attore. Gli altri personaggi, Berlusconi incluso, si vedranno soprattutto attraverso giornali e tivù. “Lo sforzo è stato quello di essere corretti narratori – riprende lo sceneggiatore Sardo -, ognuno ha lasciato da parte le proprie idee politiche per sposare il punto di vista dei personaggi, cosi come i ‘Soprano’ avevano il punto di vista del mafioso o ‘Dexter’ quello del serial killer, infatti, nelle serie da noi amate è il personaggio a dettare la storia. E abbiamo constatato che i loro punti di vista restituivano l’essenza di quell’epoca lì, il personaggio detta la storia, quindi, l’affronti stando con lui. Quando ami il personaggio in modo viscerale, è lui che ti guida. Dal punto di vista politico, la nostra idea di serie, alla Berlinale, sia la stampa di destra che di sinistra, l’ha trovata equilibrata”.
“Sugli eventi si discute – ribatte Fabbri -, il nostro compito è sollevare domande, non dare risposte, c’erano tante voci e punti di vista, abbiamo deciso d’inglobarli e lasciare il giudizio al pubblico, è come mettere in scena un dibattito. Sono tutti fatti noti e quelli di finzione non noti, ma tutti documentati. Mario Chiesa quando ha visto lo spot ha detto: ‘devo bloccarla ai sensi dell’art. 700’, ma dopo ha ritirato la denuncia”. “Avevo vent’anni ed ero più appassionato di oggi delle sorti del Paese – conclude Sardo -, avevo voglia di leggere i quotidiani, il diritto d’incazzarmi e credevo che in futuro ci sarebbe stato un forte cambiamento, che sarebbe stato realtà per la generazione successiva, e l’aver tirato giù il potere ci aveva dato l’impressione che il mondo stesse cambiando, perciò non ho dovuto faticare per ricostruire la parte emotiva di quel periodo da maggiorenne, Ale e Ludovica, invece, sono più giovani, cresciuti con ‘Non è la Rai’ e ‘Beverly Hills 90210’. Ma anche creare la parte politica è molto sexy, un senso languido di nostalgia per un tempo che poteva essere e non è stato. E’ stata una grande scommessa usare la storia italiana come materiale narrativo”.
“La nostra chiave di lettura è molto intima – chiude Fabbri – perché sono anche personaggi reali, in carne e ossa. La nostra visione, senza schierarci, serve per rievocare personaggi reali senza farne la fotocopia. E l’occhio attento di Gagliardi ha registrato la nostra versione. La popolarità immensa dei magistrati è dovuta al fatto che sono stati protagonisti del fatto storico dell’anno - letto in tanti modi diversi -, che per un paese, stanco di certe situazioni, sembrava una grande occasione”. Dopo l’anteprima italiana, in contemporanea con Inghilterra, Germania, Irlanda e Austria, la miniserie prodotta da Sky e Wildside, in collaborazione con La7 dovrebbe andare in onda in Francia e Spagna, ed essere venduta in Scandinavia (HBO Nordic), negli Usa e Canada, già in trattative. Ed è stato confermata la realizzazione della seconda e della terza serie, ovvero “1993” e “1994”.
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