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giovedì 16 maggio 2013
di Giammario Di Risio
El Verdugo
Omaggio a Nino Manfredi alla 6. edizione di CinemaSpagna con "El Verdugo" brillante commedia nera

La riflessione parte da un oggetto: una valigetta scura rivestita in pelle, pesante, che potrebbe emozionare qualsiasi collezionista e che al suo interno contiene gli attrezzi del mestiere. Durante la narrazione la valigetta condiziona le azioni dei personaggi e che venga appoggiata sul tavolino della cucina o su una staccionata prospiciente la piazza non fa differenza, visto che il rumore dei ferri al suo interno, che via via lo spettatore impara a conoscere, veicola senso di angoscia e ineluttabilità del reale.

È il contenitore del boia e siamo nella Spagna franchista, con il vecchio Amedeo rappresentante uno dei tanti ingranaggi di un sistema totalitario che, a differenza delle spinte autodistruttive di fascismo e nazismo, è riuscito a avere pazienza, durante i decenni, radicalizzando dalle fondamenta burocrazia, cultura e società spagnola. Il vecchio boia passa la valigetta e il mestiere al giovane becchino Josè Luis, lo spaesato Nino Manfredi, che sposa la figlia di Amedeo, visto che l’ha messa incinta, e accetta il nuovo lavoro controvoglia per salvare famiglia e appartamentoconcesso dallo Stato.

El verdugo (titolo italiano La ballata del boia) è una brillante commedia nera del 1963, proiettata alla sesta edizione di CinemaSpagna a Roma, diretta da Luis Garcia Berlanga, scritta da Ennio Flaiano e Rafael Azcona. Ed è la sceneggiatura, nella sua ricchezza e complessità, a dotare la storia di un senso di morte latente che accompagna i tre protagonistiin una parabola in cui l’obiettivo principale è la sopravvivenza di contro alla tragedia della pena di morte. Il personaggio di Manfredi, vero oggetto passivo narcotizzato dalle direttive e dalla raucedine di Amedeo, o dai sensi di colpa rintuzzati dalla felliniana moglie Carmen, è costretto ad accettare una condizione che rifiuta, in una società in cui avanza lo scollamento tra  il sordo regime e il povero popolo.

Quest’ultimo ha sì venduto l’anima al dittatore Franco ma, nello stesso momento, vive un profondo razzismo nei confronti di queste tre vittime del sistema, che fanno quadrato intorno alla loro condizione di miseria. Essi suddividono l’esistenza mediante progetti a breve scadenzache, tragicamente, hanno come spauracchio e indicatore unico la morte, di fatto, il giustiziare altre persone o no, pena il ritornare a elemosinare per strada.

I piani sequenza e un linguaggio della macchina da presa rispettoso, attento alle battute e ai dialoghi,  ordina un quadro visivo in cui scartoffie da firmare, corone di fiori, funzionari e segretari corrotti sostengono le peripezie e le angosce dei protagonisti. Mentre durante tutto il film siamo bombardati dai rumori di vita quotidiana, da una continua oscillazione tra interni e esterni, al finale la missione di sopravvivenza lascia il posto alle mura di un carcere, e il silenzio totale dei personaggi sostiene la scelta del verdugo Manfredi, con la sua valigetta nera.

Un film bello, censurato all’epoca della sua uscita in Spagna, che fa riscoprire il grande cinema, quello fatto di dialoghi e riflessioni profonde sul senso della vita, mediante il talento attoriale di un mostro della commedia all’italiana, il rigore registico di Berlanga e la grande scrittura di Flaiano e Azcona.

 
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