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venerdì 7 ottobre 2005
di Claudio Montatori
Soy Cuba
Una lezione di cinema dimenticata di Mikhail Kalatozov torna alla luce grazie a Scorsese e Coppola

È un’occasione straordinaria, un evento. È come ammirare un Caravaggio casualmente ritrovato in qualche mercatino delle pulci o come trovare i resti di un mammuth siberiano ai Caraibi. Un film incantevole e un documentario imperdibile che ha il merito di diffondere la conoscenza di un capolavoro del cinema di tutti i tempi, misconosciuto e dimenticato, come Soy Cuba, e che apre una nuova stagione del Politecnico Fandango tutta dedicata ai documentari, che saranno proiettati in prima visione a Roma.

Soy Cuba, il mammuth siberiano, del regista brasiliano Vicente Ferraz, narra la genesi del film Soy Cuba, del regista sovietico Mikhail Kalatozov girato a Cuba tra il 1962 e il 1964. Interrogando i componenti cubani della troupe, che parteciparono alla realizzazione del film e mescolando immagini del film stesso insieme a documenti filmati del periodo immediatamente successivo alla vittoria della rivoluzione castrista, Vicente Ferraz ha realizzato una pellicola di grande interesse che oltretutto è un’irresistibile invito a vedere il film di Kalatozov. Dal documentario si apprende che nessuno degli attori che vi presero parte si rese conto di interpretare un capolavoro di straordinaria bellezza visiva che non fu apprezzata quando uscì in contemporanea nelle sale cubane e in quelle sovietiche, fu anzi un insuccesso che ne decretò l’oblio. I cubani non si riconobbero nel film, troppo idealizzato e troppo poco vitale, nel senso che non corrispondeva al carattere dei cubani stessi che anche quando affrontarono momenti delicati della loro storia, come la rivoluzione di cui il film narrava le ragioni, erano caratterialmente pervasi da un’innata allegria che tutt’oggi identifica quel popolo caraibico. E nel documentario l’allegria è mostrata dai filmati di repertorio che espongono immagini della festa all’indomani della rivoluzione.
Nei volti degli intervistati, spesso attori presi dalla strada, traspare la commozione, quando Ferraz mostra loro la videocassetta del film; come nel volto di Luz Maria Collazo, scritturata dalla moglie di Kalatozov per interpretare una giovane donna costretta a prostituirsi agli americani in un locale notturno della Cuba del dittatore Batista.

Un grazie a Fandango dunque e un grazie a Vicente Ferraz che ha avuto il desiderio e la costanza di girare un documentario che, per difficoltà economiche, ha iniziato nel 2001 e terminato nel 2004, spinto dalla curiosità di capire come sia possibile che la Storia si prenda gioco di tutte le ideologie e di tutti i cambiamenti politici e, grazie alla scoperta del film fatta da due registi americani del calibro di Martin Scorsese e Francis Ford Coppola che lo hanno restaurato e promosso negli Usa, faccia riapparire nel Paese culla del capitalismo un’opera d’arte che è anche, nelle intenzioni dei realizzatori, un inno al comunismo e alla rivoluzione, e che a suo tempo fu vietata in America e cancellata dai sovietici che lo ritennero controrivoluzionario e dai cubani che lo soprannominarono No Soy Cuba.
Si era negli anni più caldi della guerra fredda, quando il mondo fu sull’orlo di un conflitto atomico a causa dei missili sovietici istallati a Cuba. In quel tempo l’URSS e Cuba realizzarono la prima coproduzione cinematografica proprio con la realizzazione di Soy Cuba inviando nell’isola caraibica il regista Mikhail Kalatozov con una troupe cinematografica in cui spiccava il direttore della fotografia Sergei Urusevsky. Il regista aveva avuto un grande riconoscimento internazionale vincendo la Palma d’oro al Festival di Cannes del 1957 con il suo Quando volano le cicogne. Urusevsky era un esperto della camera a mano per essere stato un cineoperatore di guerra. Insieme realizzarono un film dai forti connotati ideologici che doveva celebrare la rivoluzione cubana. Come si è detto fallirono in questo intento ma composero immagini straordinarie dal forte impatto estetico. Basti dire che Martin Scorsese ha dichiarato che se avesse visto Soy Cuba quando era studente alla scuola di cinematografia, oggi sarebbe un regista diverso.

Il film racconta di soverchierie operate dal regime di Fulgencio Batista ai danni dei cubani, ed è soprattutto un film antiamericano visto il ruolo di corruttori che nel film viene attribuito agli americani stessi che a quei tempi trafficavano con la dittatura. E questo fu probabilmente uno dei motivi che spinse l’URSS a radiare il film dalle sale, visto che in quel periodo (il 1964), risolta la crisi dei missili, tra l’Unione Sovietica e gli Stati Uniti iniziava il disgelo.
Le storie raccontate possono sembrare perfino ingenue agli occhi disincantati dello spettatore moderno, ma le immagini e le innovazioni cinematografiche tengono incollati alla poltrona al di là di ogni considerazione sui contenuti.
È l’arte che trionfa su tutto e nonostante tutto, nonostante il tempo, la stupidità dei censori, l’arretratezza mentale che sta alla base di tutte le dittature, passate, presenti e future (quale ne sia il colore), anche delle dittature mediatiche dei nostri giorni. Ed è una speranza: che contro tutto e contro tutti, alla fine “la bellezza” abbia la meglio.

Nelle sale dal 7 ottobre distribuito da Fandango.

Note:
*
Il film e il documentario usciranno abbinati.
* A Roma, il documentario è in programmazione al cinema Politecnico e il film al cinema Labirinto. Perderli è un vero peccato.


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