Otto persone su un’isola remota delle Galapagos tra le due guerre mondiali, istinti bestiali e famiglia, natura e una nuova (im)possibile civiltà. Basato su due versioni contrastanti della stessa storia (sì, è tutto vero, come documentano le foto d’epoca che chiudono il film), Eden di Ron Howard racconta del precario equilibrio e della complicata convivenza di un gruppo di uomini e donne alle prese con recite e segreti.
I primi ad arrivare a Floreana, nel 1929 sono l’eccentrico Dott. Friedrich Ritter (un Jude Law muscoloso e senza denti) e la sua amante Dore Strauch (Il matrimonio fa ammalare dice Vanessa Kirby, magnifica e poco sfruttata).
Alla ricerca di una vita migliore e di un nuovo modello di società, la coppia tenta di domare la natura inospitale tra gli scritti filosofici dell’uomo (Nel dolore troviamo la verità, nella verità la salvezza) e le sofferenze di lei alle prese con la sclerosi multipla e l’impossibilità di avere figli.
Tre anni dopo ecco un’altra coppia, stavolta novelli marito e moglie. Fuggiti per proteggere dal sanatorio il figlio tubercoloso, Heinz Wittmer (Daniel Bruhn) un veterano della brutale guerra di trincea e Margret (la magnifica Sydney Sweeney) toccano da subito con mano l’ostilità della prima coppia che detesta l’intrusione dei nuovi arrivati confinati in una grotta.
Sarà l’arrivo di una misteriosa e sensuale baronessa (Io sono l’incarnazione della perfezione ripete come un mantra Ana de Armas) che intende costruire sull’isola un resort di lusso per miliardari e intanto la notte va a letto con due servitori-amanti al seguito, a sconvolgere definitivamente i rapporti delle forze in campo a colpi di tradimenti e sottili giochi di potere. Perché la posta in palio è il dominio assoluto del territorio e la battaglia tra sopravvivenza e idealismo farà contare morti e ribellioni.
Nato nella testa di Ron Howard 15 anni fa e film di apertura dell’ultimo Torino Film Festival, Eden seduce visivamente immergendo lo spettatore in un clima e in un’epoca apparentemente lontani ma che in realtà riverberano sul nostro tempo (Dobbiamo sistemare il mondo in questa vita, non nella prossima dice Ritter e pare di sentire gli ecologisti e gli ambientalisti di oggi). E la triade consequenziale democrazia -fascismo- guerra (altra teoria di Ritter) a spaventare, ieri come oggi.
Tra risorse che scarseggiano e un angosciante parto coi lupi, Nietzsche (Dio è morto, esiste solo l’uomo) e Il ritratto di Dorian Gray, parassiti e macchine da scrivere che battono sempre la stessa frase (Il nostro scopo è? come Il mattino ha l’oro in bocca del Nicholson di Shining), ecco un servivor thriller ambizioso, selvaggio e provocatorio (ma negli esiti siamo lontani da capolavori come Fitzcarraldo e Triangle of sadness) sostenuto dalle belle musiche di Hans Zimmer.
Magari alla fine lo schematismo prevale sull’ambiguità psicologica e la tesi che l’ambiente circostante riveli la vera natura dell’uomo è sin troppo scoperta e poco originale. Ma la bella prova del cast, una tensione crescente e la bella confezione regalano comunque sussulti.
In sala dal 10 aprile distribuito da 01