Kung fu all’amatriciana con un occhio al Tarantino di Kill Bill e l’altro al cinema d’autore di Wong Kar wai e Zhang Yimou. A quattro anni da Freaks out e a dieci da Lo chiamavano Jeeg Robot (qualcuno si domanda ancora perché non è stato mai fatto il sequel…), Gabriele Mainetti sceglie il quartiere Esquilino a Roma e Piazza Vittorio come teatro di guerra di una faida familiare e nazionale.
Coi cinesi e la nuova criminalità ormai impadronitasi della zona e una famiglia di ristoratori in crisi dopo che il marito Alfredo (Luca Zingaretti) ha abbandonato moglie in cassa (Sabrina Ferilli) e figlio in cucina (Enrico Borello) per rifarsi una nuova vita con una giovane prostituta cinese.
Dove sono finiti? Lo vogliono scoprire il miglior amico di Alfredo (un Marco Giallini in versione boss de noantri) e, soprattutto, Mei (Yaxi Li, stuntwoman con trascorsi hollywoodiani, era la controfigura di Yifei Liu nelle scene di combattimento del Mulan in live action) la sorella della cinese, una feroce esperta di arti marziali disposta a tutto pur di ritrovarla.
In mezzo il sadico proprietario di un ristorante cinese che confina con quello italiano e reclama debiti con gli italiani mentre nasconde traffici illeciti (Da voi tutto è permesso e nulla è importante, da noi tutto è importante e nulla è permesso dice a Giallini il malavitoso cinese interpretato da Chunyu Shansan).
Scritto da Mainetti con Stefano Bises e Davide Serino (autori di alcune delle più belle serie italiane degli ultimi anni, da Il Miracolo a Esterno Notte fino a M. Il figlio del secolo), dopo i primi due film sceneggiati con Daniele Gaglianone, La città proibita (il riferimento è al nome del ristorante cinese del film e al sottobosco romano ma è anche un omaggio al titolo del 2006 di Zhang Yimou) mette in scena sensi di colpa e arti marziali (bellissimi e prolungati i combattimenti), riscatti esistenziali e rovine romane in 137’ che diluiscono irrimediabilmente ritmo interno e tensione narrativa.
Si finisce così in un ibrido di generi, visivamente assai convincente (Mainetti gira benissimo e lo sappiamo) ma che regala poche sorprese nello script (facile intuire chi è la vera anima nera dell’intera vicenda) e che alla fine vede nella storia d’amore tra il figlio dei ristoratori e la combattiva cinese assetata di vendetta più un espediente (il ponte tra Oriente e Occidente) che un ritratto sincero.
Politica dei figli unici in Cina (è il bel prologo del film) e foto di divi appese alle pareti del ristorante (Ma te pare che Bruce Lee magnava qui…esclama convinto Giallini in visita al ristorante nemico), metafore di resistenza culturale (Asterix e Obelix) e vecchie canzoni come specchio dell’anima (Tutt’al più di Patty Pravo, Canzone dell’amor perduto di De Andrè, E se domani di Mina), valigie di ricordi da buttare (Ma perchè n’omo deve ave’ 500 cravatte dice una strepitosa Ferilli mentre getta dall’armadio i vestiti del marito in fuga in una delle sequenze più divertenti del film) e passeggiate notturne in Vespa in un film ambizioso e discontinuo, coraggioso e smisurato che fa i conti col tempo che passa e con la Storia che cambia.
Tra ultimi dinosauri in via d’estinzione (il personaggio di Giallini) e nuove possibili convivenze culturali. Perché forse a volte la legge del cuore conta più di quella degli affari.
Al netto di lungaggini e qualche battuta a vuoto (soprattutto nella parte centrale, dove sembra che l’indagine per scoprire cosa sia successo ai due amanti in fuga non evolva) comunque un gongfu movie da vedere in sala e che rilancia la potenza dell’atto visionario su grande schermo. Non è poco.
In sala dal 13marzo distribuito da Piper