Un narratore senza voce (lo chiamano Gollum perché le parole gli s’inceppano nell’epiglottide), una ragazzina rom che fotografa il mondo senza metterlo sui social, un piccolo filosofo biondo senza passato che frequenta l’università senza essere iscritto e che vende i compiti fuori dalle scuole.
E poi una città, Milano, ritratta con amore e nostalgia tra le case popolari Gescal a Sesto San Giovanni e le ex acciaierie Falk che diventano cattedrali di studio (bellissimo quel banco in mezzo al nulla con quell’improbabile terzetto di amici intento a preparare l’esame di terza media).
Presentato a Venezia in Orizzonti Extra, La storia del Frank e della Nina della milanese doc Paola Randi è una sorta di Jules e Jim di periferia che tra citazioni letterarie scritte sui muri (Shakespeare, Cechov, Calvino) e intrecci spazio-temporali mette in scena l’originale ritratto di una famiglia di outsider (Il Combo definitivo) alle prese con la voglia di crescere e l’utopia del sogno.
Ed ecco quella sedicenne (Ludovica Nasti) vessata dal compagno violento (Il Duce) che gli ha dato un figlio e che lavora come donna delle pulizie, mettersi in testa che con lo studio si può essere altro nella vita. E così un libro può ancora essere la chiave per tentare di vedere il mondo dal bianco e nero a colori (come succede nel film) con quei due compagni d’avventura che se la contendono in amore, chi in silenzio, chi esplicitamente.
Romanzo di formazione per sognatori che riporta Paola Randi alle atmosfere surreali del suo cinema migliore (quello di Into Paradiso e Tito e gli alieni), La storia del Frank e della Nina viaggia spedito tra brandelli di poesia e pensieri nascosti con la macchina da presa incollata al suo magnifico terzetto (Gollum è Gabriele Monti, il Frank Samuele Teneggi) di protagonisti che reclamano il loro posto nel mondo.
Fuori dal coro, sghembi e senza padri sono i nipoti della Banda dell’Ortica e del Cerutti Gino cantati da Jannacci e Gaber all’inseguimento del futuro. Tra furti di rame e tunnel segreti, pioppi cresciuti in una notte e pasta con le sarde, cambi pannolini col tutorial, nodi alla cravatta e lettere per conto terzi (viene in mente il Cyrano), il film della Randi mette in scena la citazione di Calvino (La fantasia è un posto dove ci piove dentro) utilizzando vari formati e stili di regia.
Movimentato, caldo ed emozionante (l’entrata in scena del Comandante/Bruno Bozzetto con fischietto in bocca e divisa da ferroviere nell’armadio) ecco un film che insegna a progettare l’invisibile. Perché in fondo la realtà, come diceva Kosinski, è solo un punto di vista.
In sala dal 3 ottobre distribuito da Fandango