Il mito del cinema e la cronaca nera, i sogni ad occhi aperti di una giovane affascinata dal mondo delle star del grande schermo e l’Italia degli anni ’50 che si riflette nel nostro tempo come in uno specchio.
Presentato in concorso all’ultima Mostra del cinema di Venezia e accorciato nella durata dal regista, Finalmente l’alba di Saverio Costanzo è un’opera ambiziosa che segue il viaggio nella notte di Mimosa (la bravissima esordiente Rebecca Antonaci), una ventenne romana catapultata per caso come comparsa (o meglio figurante speciale) sul set di un kolossal in costume interpretato dalla grande attrice Josephine Esperanto (Lily James) e costretta rapidamente a diventare donna per conservare la sua integrità morale.
Tra brindisi all’eleganza e personaggi ambigui (nel ruolo di un gallerista che scopre talenti artistici c’è il mellifluo Willem Dafoe), seduzioni pericolose, un vestito rosso in regalo per cambiare pelle e un leone a passeggio per Roma (finale iconico in stile Sorrentino), il film di Costanzo affascina visivamente (impeccabile la ricostruzione scenografica della Roma d’epoca e i magnifici costumi di Antonella Cannarozzi) tra veri falsi storici (le citazioni dei film sono tutte inventate ma sembrano vere) e omaggi al fascino (Alba Rohrwacher è Alida Valli).
Con lo sfondo dell’omicidio di Wilma Montesi (la giovane e aspirante attrice trovata morta sulla spiaggia di Capocotta nell’aprile del 1953 e il cui caso è a tutt’oggi irrisolto) a fare da monito al percorso verso la fama della giovane protagonista.
Un film nel film che inizia con la proiezione in un cinema di Sacrificio (non lo troverete nella filmografia della Valli perché non esiste), con la diva fucilata da un ufficiale tedesco in un dramma bellico mentre la bambina che era con lei viene salvata da un soldato (Sean Lockwood) e si finisce, come in un horror meta cinematografico (è la parte migliore di Finalmente l’alba) in una lussuosa villa sul mare popolata da un gruppo di vip intenti a fare di quella facile preda il passatempo di una notte tra fiumi di cocaina e sesso sfrenato.
Con Costanzo che scrive, dirige e affresca alla perfezione il ritratto di un’epoca (magnifica Carmen Pommella nei panni della madre di Mimosa) collocando il suo film a metà tra la Bellissima di Visconti e la Babylon di Chazelle.
Ambizioso, articolato e qua e là irrisolto (spesso immaginazione e realtà non vanno a braccetto) con quegli specchi che riflettono le ansie e la crescita della protagonista e l’inquietante e convincente tessuto sonoro (musiche di Massimo Martellotta) a rendere palpabili le sfumature psicologiche, il quinto lungometraggio di Costanzo (dedicato al padre nella didascalia iniziale) è un romanzo di formazione che inneggia alla purezza d’animo (gli occhi della Antonaci, prima sgranati e poi allucinati, sono i veri protagonisti del film) e mette in guardia dalle seduzioni e dalle facili tentazioni di un mondo di cartapesta.
In sala dal 14 febbraio distribuito da 01