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lunedì 6 febbraio 2023
di Claudio Fontanini
I nostri ieri
Un viaggio nelle radici delle nostre esistenze tra identità e memoria
Se vivessimo in un mondo più giusto e nel quale la cultura della memoria, privata e collettiva, avesse ancora un valore, film come I nostri ieri andrebbero visti nelle scuole e applauditi da moltitudini di spettatori. Speriamo che accada per questa piccola, grande opera di Andrea Papini che riesce nell’intento di coniugare il potere salvifico dell’Arte alla rinascita personale di un gruppo di personaggi che distillano emozioni e autenticità ad ogni inquadratura. 

Presentato alla XX edizione di Alice nella città (sezione Panorama Italia), il film- girato nell’ex carcere di Codigoro in provincia di Ferrara e nel meraviglioso parco del delta del Po- ricostruisce un delitto attraverso la messa in scena di un gruppo di detenuti (tra i quali il condannato per il fatto) alle prese con un laboratorio cinematografico diretto da un documentarista (Peppino Mazzotta) prestato temporaneamente all’insegnamento. 

Rieducazione e seconde possibilità, confessioni inattese ed effetti visivi (Loro non possono uscire fuori ma io posso portare il mondo dentro dice Mazzotta al direttore del carcere spiegando il Blue screen), legami affettivi e vecchie giacche paterne da indossare (bellissima la sequenza delle altezze segnate sul muro della vecchia casa dei genitori del documentarista), sensi di colpa e perquisizioni in un film che vive di corpi e contrasti visivi (acqua, cielo e terra) che simboleggiano stati d’animo e possibilità. 

Misurato e mai retorico, problematico, originale e mai esibito (si veda la magistrale sequenza del delitto tra camion e spiaggia), I nostri ieri è vita vissuta al servizio di un cinema che cerca, nei suoi dilatati piani sequenza, le risposte, non facili ed immediate alle domande che assillano le nostre esistenze. 

Contro la recitazione esaltata e meccanica di tanto, troppo cinema attuale ecco allora un pugno di attori in stato di grazia (oltre all’ottimo Mazzotta ci sono Francesco Di Leva, Daphne Scoccia, Maria Roveran in triplice ruolo, Denise Tantucci e un cameo da brividi di Teresa Saponangelo nei panni della moglie dell’omicida) che attraverso l’arte della sottrazione e del non detto nascondono tesori di umanità da scoprire a piccole dosi. 

Un film capace di mettere in ordine (citando una battuta di Mazzotta) interrogando(ci) sul rapporto tra identità e memoria attraverso la sua rappresentazione. Un viaggio nelle radici profonde delle nostre esistenze per una geografia affettiva nella quale i punti cardinali diventano i ricordi e il nostro vissuto. Perché non può esistere futuro senza passato. Da non perdere
 
 

 
 
 
In sala dal 9 febbraio distribuito da Atomo Film   


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