I cosiddetti miracoli si possono compiere con le proprie mani. La frase di Aleksandr Grin, lo scrittore russo, socialista rivoluzionario del XX secolo, apre Le vele scarlatte, il nuovo e magnifico film di Pietro Marcello che ha aperto la Quinzaine des Réalisateurs all’ultimo Festival di Cannes.
Liberamente ispirato all’omonimo romanzo di Grin (finale modificato e ambientazione francese al posto di quella russa) e scritto dal regista casertano con Maurizio Braucci, Maude Ameline e la collaborazione di Geneviève Brisac, il film- il primo in lingua francese di Marcello- aggiorna il racconto dello scrittore russo, col realismo magico ad accompagnare lo spettatore in un viaggio nel tempo poetico ed emozionante.
Un cinema di mani ruvide e di corpi, di onde di luce e di salvifiche comunità matriarcali (nei panni della madre adottiva c’è Noémie Lvovsky) che nel rapporto tra un padre di ritorno dalla Prima guerra mondiale (lo straordinario Raphael Thiéry, una faccia che non si dimentica) e sua figlia (da grande è la magnifica esordiente Juliette Jouan) nata orfana ed adottata da una strana corte dei miracoli dove vige il mutuo soccorso, intreccia sentimenti e visioni del mondo, dolore e sogni di nuovi orizzonti.
Magari magici, come annuncia alla ragazza quella fattucchiera (Yolande Moreau) che vive lungo il fiume e le profetizza l’arrivo delle vele del titolo a portarla via verso un futuro non troppo lontano. Perché in fondo ogni cosa che immaginiamo si può avverare e il film di Marcello, femminile più che femminista, ce lo ricorda in un finale che scansa l’arrivo del Principe azzurro sotto forma di avventuriero dedito al gioco d’azzardo (Louis Garrel) per concentrarsi piuttosto sull’emancipazione della figlia che non dimentica la lezione del padre, falegname talentuoso ed emarginato.
Tra altarini di conchiglie e filmati d’archivio che si fondono a meraviglie con le scene di finzione (la colonna di soldati iniziale è quella dell’armistizio nella Baie de Somme), funerali come quadri fiamminghi (indimenticabile la sequenza con la quale si sarebbe anche potuto concludere il film) e trenini elettrici che impoveriscono l’arte della manualità ecco un magnifico esempio di cinema colto e popolare che inquadra alla perfezione un piccolo mondo antico per farne cantico universale.
Come il suono melodioso di quella rondinella nella struggente poesia finale di Louis Michel musicata e cantata da Juliette. Lode a Pietro Marcello, regista appartato, coraggioso ed unico nel nostro asfittico panorama autorale.
In sala dal 12 gennaio distribuito da 01