Il potere liberatorio dell’arte e una rieducazione culturale della quale avrebbero bisogno non solo i protagonisti di Grazie ragazzi, il nuovo film di Riccardo Milani che si affida per la quarta volta ad Antonio Albanese (mai così bravo con lui) stavolta nei panni di attore che si mantiene doppiando film porno e si ritrova in un istituto penitenziario a dirigere un gruppo di detenuti alle prese con un laboratorio teatrale e la messinscena di Aspettando Godot di Samuel Beckett che qualcuno scambia per l’ex calciatore Beckham.
Dai gemiti e gli orgasmi di rappresentanza (irresistibile la sequenza d’apertura e l’arrivo di Albanese al carcere) ad un concentrato di varia umanità per ridare un senso alla sua vita e a quella di cinque detenuti (Vinicio Marchioni, Giorgio Montanini, Giacomo Ferrara, Andrea Lattanzi e Bogdan Iordachioiu, tutti bravissimi) che in quanto ad attese ne sanno qualcosa.
Col testo di Godot e il teatro dell’assurdo che diventano manifesto di rinascita, individuale e collettiva, in un film su uno svago meraviglioso e liberatorio (la scrittura secondo Beckett) capace di riabilitare e nobilitare un’umanità al collasso.
Ci scapperà persino una tournée tra prove spericolate e costumi di scena da indossare, risse in cortile ed aria di libertà, tecniche vocali (l’uso del diaframma), perquisizioni e regolamenti da rispettare. Mentre la direttrice del carcere (Sonia Bergamasco) vigila severa e l’amico teatrante cinico e vanesio di Antonio (Fabrizio Bentivoglio, perfetto) fiuta l’affare e si stupisce del talento nascosto di quella nuova e strampalata compagnia.
Scritto dal regista di Come un gatto in tangenziale con Michele Astori, Grazie ragazzi- tratto dal Un triomphe, il film francese di Emmanule Courcol del 2020 e liberamente ispirato alla vera storia di Jan Jonson accaduta in Svezia nell’85- il film di Milani è una bella commedia popolare e mai banale che segue la scia de La stranezza di Andò (uno dei pochissimi film italiani del periodo capaci di incassare al botteghino) mettendo al centro della storia un palcoscenico, un autore e l’arte della rappresentazione.
Con qualche lungaggine di troppo nella seconda parte e un cast affiatato che mette alla prova attori che fanno finta sul set di non esserlo per poi diventarlo. E un Albanese in stato di grazia (da brividi il suo monologo finale) che ci ricorda come si recita col corpo oltre che con le parole e gli sguardi.
In sala dal 12 gennaio distribuito da Vision